Colmare i vuoti esistenziali

Il bisogno di protezione e

il bisogno di controllo nelle relazioni d’amore

protezione

Come colmare i propri vuoti esistenziali

Qualche tempo fa, una persona di mezz’età che attraversava un periodo di difficoltà relazionali, mi confidò di aver assunto un Investigatore privato allo scopo di pedinare il marito e verificare alcuni sospetti. In effetti, i risultati dell’indagine furono in linea con le supposizioni, poichè fu dimostrato che questo signore si intratteneva con un’altra donna ormai da diversi mesi. Questo fu il prologo di una richiesta di aiuto che avrebbe dovuto ricostruire la coppia ormai lacerata e ricompattare le mura familiari ormai quasi del tutto franate. Nel corso dei colloqui emerse che assumere l’Investigatore era stato soltanto l’ultimo degli stratagemmi escogitati per avere conferma dei sospetti. Prima di allora, le strategie si erano contenute al puntuale controllo dei messaggini SMS e nella lettura minuziosa di alcuni appunti presi dal marito. Dal momento che i sospetti furono confermati, i colloqui iniziarono ad assumere una piega da una parte accusatoria nei confronti del marito colpevole, e dall’altra desiderosa di ottenere da parte mia, conferme e approvazioni. I fatti parlavano chiaro: questo signore aveva un’altra donna, più giovane e senza figli, e questa relazione pare durasse ormai da quasi sei mesi.

La persona che aveva chiesto il colloquio, e che con uno pseudonimo chiamerò Anna, era dunque in mezzo ad un pericoloso guado. Da una parte aveva l’idea, del tutto illusoria, della coppia “del passato” così come era stata negli anni precedenti, e il cui ricordo era ammantato di una assoluta, perfetta, rosea armonia di cui ero fortemente perplesso. Dall’altra aveva di fronte la coppia “del futuro”, la cui immagine era frammentata e lacerata da angosce e paure. Oltre a ciò, Anna era combattuta tra il bisogno di chiudere velocemente lo strappo, con un perdono rapido ed indolore che avrebbe – almeno nelle intenzioni, idealmente – riportato il marito verso il letto coniugale, e dall’altra il forte bisogno di vendetta che gli avrebbe consentito di dare finalmente sfogo alla tanta rabbia accumulata nei mesi precedenti. La confusione era quindi poi accentuata da riflessioni personali ed intime che questo evento aveva improvvisamente portato alla luce e che riguardavano il senso di fallimento personale, la ricerca di un senso da attribuire alla vita fino ad ora trascorsa, la paura della solitudine, il senso di abbandono, la ferita del tradimento, la perdita della fiducia nella vita.

Quando nel corso dei colloqui, cominciammo ad esplorare le aree dei meccanismi di difesa, cominciò ad emergere un quadro relazionale che fu particolarmente prezioso per tutto il lavoro successivo. Emerse che, dopo la nascita dei figli, il marito (descritto come una persona sensibile ed affettuosa) si era progressivamente estraniato dalla famiglia per dedicarsi pressoché integralmente alla carriera professionale. Questo investimento gli aveva fruttato non poche soddisfazioni e una crescita che nel tempo lo aveva condotto ai più alti vertici aziendali. Anna, dal canto suo, si era invece dedicata alla crescita dei tre figli e al menage familiare, svolgendo una funzione praticamente di tutto-fare. Infatti, oltre a dedicarsi ai figli, organizzava meticolosamente la giornata del marito, predisponeva accuratamente i vestiti del giorno dopo, pianificava minuziosamente i viaggi e i pranzi di lavoro, progettava con cura quasi ossessiva le vacanze, curando i più minimi dettagli fino all’itinerario, le soste, le passeggiate fotografiche, ecc. Questo stato di equilibrio era durato per diversi anni.

Poi però aveva cominciato a vacillare una prima volta, quando il primogenito raggiunse la maggiore età e scelse di studiare in una città vicina, appoggiandosi alla casa di alcuni parenti. Ma questo primo terremoto, rientrò – racconta Anna – “perché presi a dedicarmi con maggiore intensità, ai problemi scolastici del secondogenito, che ormai da tempo erano diventati sempre più gravi”. Man mano che emergevano i racconti, dagli scenari narrati lentamente cominciava a percepirsi un quadro di relazioni per quanto scrupolose, ma spesso asettiche, razionali, limitate agli aspetti logistici ed organizzativi di una famiglia numerosa. Le comunicazioni erano pressoché integralmente comprese in ciò “che bisognava fare, ciò che dovevamo fare”. Mancava del tutto la dimensione del piacere, della condivisione, del godimento reciproco. La sensazione era che mancasse proprio una “dimensione di coppia”. La coppia originaria – cominciai a proporre ad Anna – probabilmente era stata sequestrata e tradita già molto tempo prima delle fotografie scattate dall’Investigatore privato. Proposi quindi di collocare il tradimento nel momento in cui i partner avevano permesso che la Famiglia schiacciasse la Coppia, magari pensando del tutto in buona fede, che fossero essenzialmente la stessa cosa.

Man mano che il lavoro procedeva sempre più profondamente, raggiungiamo una tappa molto importante e che riguarda non tanto la coppia, quanto principalmente il vissuto personale ed intimo di Anna. Dalla storia generazionale emerge infatti che Anna è una secondogenita, nata dopo una sorella e prima di un fratello. I genitori di Anna, molto tradizionalisti, avevano sempre desiderato un maschio, e dopo la delusione della prima figlia, avevano sperato che almeno il secondo parto li avrebbe appagati. Le cure dei genitori furono quindi rivolte pressoché esclusivamente alla primogenita e alle sue aspirazioni verso la danza classica, e al terzo figlio maschio che è rimasto il cucciolone della famiglia. Anna racconta e fa emergere una quantità enorme di episodi dove denuncia la propria sostanziale invisibilità e incapacità di attrarre le attenzioni, le cure e l’amore dei genitori. “Non mi hanno fatto mai mancare nulla – riferisce – ma se devo essere sincera, tante volte che avrei avuto bisogno di loro per i miei piccoli grandi problemi, era come se non esistessi”. Ecco allora che propongo ad Anna di mettere insieme parti che solo apparentemente sembrano separate dal tempo.

Ed in effetti Anna prende coscienza che la cura e la meticolosità che poneva nell’organizzazione pressoché dell’intero universo familiare, aveva come sfondo il bisogno di essere vista ed amata. Questa consapevolezza per Anna è quasi folgorante. In un attimo riesce a vedere se stessa prima bambina con il suo vuoto affettivo e il suo legittimo desiderio di essere amata e poi quasi contemporaneamente, osservare se stessa, adulta, che curando ossessivamente ogni minimo dettaglio, è ancora lì, congelata nel medesimo atto di essere vista, riconosciuta, e finalmente apprezzata e amata. Il bisogno di controllare ogni istante della vita dei familiari aveva finito con il perdere il suo scopo originario (ottenere l’affetto) e aveva assunto quasi una vita propria, soffocando gli spazi di coppia. Il meccanismo di difesa che la proteggeva dal dolore di non essere stata amata, aveva assunto nel tempo un carattere invasivo, indiscreto, quasi petulante. Le sue continue verifiche, controlli, le ispezioni negli zaini dei ragazzi o negli orari del marito, si erano lentamente trasformate in una sorta di sorveglianza pressoché continua che impediva la libertà affettiva.

Mentre l’inconscio ferito di Anna era ancora convinto di agire per la propria protezione dal dolore, in verità finiva per ottenere paradossalmente l’effetto contrario. Questo importante passaggio, ha determinato una nuova e diversa consapevolezza di Anna, e una migliore conoscenza dei propri modelli relazionali. Di per sé tuttavia, questo “giro di boa” non aveva ancora portato nessun risultato concreto. Il lavoro successivo fu quello di allenarsi a mettere in pratica la propria nuova visione delle cose. Non fu facile quindi accettare che il proprio vuoto affettivo non dipendeva soltanto dalle assenze del marito, ma era piuttosto un elemento molto più antico, profondo e che affondava le radici addirittura nella storia familiare di Anna e nel suo vissuto intrauterino. Era già infatti sin dal concepimento che Anna aveva percepito intuitivamente che vi era un’atmosfera di non accettazione nella sua famiglia di origine: se voleva amore e attenzione sarebbe dovuta almeno nascere maschio. Prendere su se stessa il carico e la responsabilità di questa consapevolezza le fu di grande aiuto, perché le consentì in primo luogo, di uscire da un terribile circolo di autocommiserazione e di vittimismo.

Inoltre, le consentì progressivamente di lasciar-andare, di “mollare” quel senso di iper-controllo che pesava su ogni componente della famiglia. Evitare il controllo non fu per nulla facile e necessitò di diverso tempo e comprensibilmente di diversi tentativi. Anche perché Anna aveva ormai avuto la conferma del tradimento del marito, quindi una parte di sé, riteneva positiva questo strumento di difesa. Tuttavia si trattò di un allenamento che con il tempo diede risultati davvero eccellenti. Man mano che Anna riusciva ad essere meno invadente, progressivamente cresceva la sua capacità di strutturare in maniera affettiva (e non più soltanto razionale ed organizzativa) le relazioni sia con i figli che con il marito. La logistica, giorno dopo giorno, lasciava sempre più spazio alla verità dei bisogni di attenzione, di presenza, di amore, non più pretesi, ma sempre più chiesti come dono. Altro elemento che ricominciò ad emergere tra i partner fu la riapparizione della fiducia. Gli sforzi di Anna di essere sempre meno iperpresente nella vita del marito, consentivano un dialogo sempre più sincero.

Con il tempo si verificò quello che ad Anna appariva come una specie di miracolo: mentre prima, più controllava il marito illudendosi di tenerlo a sé e più questi si allontanava, man mano che accettava di non controllarlo, il marito sembrava manifestare timidi tentativi di riavvicinamento. Paradossalmente (ma solo apparentemente), mentre Anna smetteva di essere indispensabile a tutti i costi, gli altri (marito compreso) cominciavano progressivamente ad aver sempre più bisogno di lei. Non si trattava di stravaganti teoremi sull’amore, secondo i quali “se fuggi sei inseguito”, ma semmai del processo di trasformazione, ben più profondo, che Anna aveva avviato su se stessa. Invece di continuare inconsciamente a rimpiangere l’amore non ricevuto dai suoi genitori, ne aveva preso coscienza e aveva deciso di smettere di essere indispensabile per ottenerlo. Anna cominciò un nuovo e rivoluzionario cammino personale che l’ha portata a comprendere l’amore per se stessa, con enormi effetti positivi, il primo dei quali, pratico e concreto, che smettere di controllare ossessivamente ogni dettaglio della vita di tutti, le lasciava ora un’enorme quantità di tempo libero a disposizione e molte più energie e risorse.

Ma gli effetti positivi non si sono limitati a questo. Ad oggi il marito ha diminuito moltissimo i suoi famosi “straordinari”, le sue “riunioni” fino a notte fonda, e anche le sue improrogabili “trasferte fuori città” si sono ridotte a poche all’anno. I rapporti sessuali pian piano sono ripresi, ma soprattutto la qualità della vita è molto migliorata e sta ancora cambiando in meglio. Le assenze del marito si sono concretamente trasformate in piccole grandi attenzioni, in presenza, partecipazione, affetto, amore. Gli spazi progressivamente lasciati da Anna sono stati occupati dal marito, che ha finalmente detto che “… quest’anno, invece del solito mare, vorrebbe andare in montagna, in una località da scegliere assieme!”. Anna non può avere la certezza fotografica che il marito non frequenta più altre donne (perché le ho prescritto di non utilizzare più l’Investigatore), ma – riferisce – di esserne in ogni caso sicura, di averne una certezza interiore “…che non si può spiegare a parole. Me lo sento”.

dahttp://www.solaris.it/indexprima.asp?Articolo=1804

I 5 fattori di stress per il rapporto di coppia

Mamma e Papà: mai più Schiaffi

schiaffo4Schiaffi ai bimbi vietati in 23 Stati

Corriere della Sera
Alessandra Muglia
16/12/2008

Proibiti anche per i genitori, come chiede l’Onu Ma in altri 89 Paesi sono permessi a casa e a scuola “No, non ce la faremo per il 2009”. Il countdown è partito da tempo, ma Paulo Sérgio Pinheiro è costretto a prendere atto che si allontana la fine delle sculacciate ai bambini permesse per legge. Incaricato dal segretario generale dell’Onu di preparare il rapporto sulle violenze contro i minori, nel 2006 era stato lui a fissare questo termine, che sarebbe caduto in concomitanza con il ventennale della Convenzione sui diritti dell’infanzia, l’anno prossimo. Ma convincere tutti gli Stati a vietare entro il 2009 ogni forma di correzione fisica verso i più piccoli—ceffoni di mamma e papà compresi — si è rivelata un’utopia.

«Purtroppo l’obiettivo è saltato — ammette Pinheiro al telefono da Asunción, Paraguay —.

Sono stati fatti passi avanti, ma non nella misura che speravamo».
Progressi monitorati dal nuovo rapporto internazionale «Iniziativa globale»: gli Stati che proibivano a chiunque (anche ai genitori) di mettere le mani addosso ai piccoli nel 2006 erano 16 e ora sono diventati 23 (18 europei) mentre a permettere bacchettate e altri «castighi correttivi» a scuola sono rimasti 89 Paesi (106, 3 anni fa).
Si procede dunque, ma più lentamente del previsto. A rallentare la corsa ci sono anche gli Stati Uniti, che non hanno ratificato la convenzione per i diritti dell’infanzia. Ancora oggi in 21 dei 50 Stati americani gli insegnanti possono alzare le mani: di solito colpiscono (dalle 3 alle 10 volte) il fondoschiena con il paddle, la tradizionale pala di legno piatta, lunga mezzo metro. Sono gli Stati centrali della Bible belt (la «cintura della Bibbia») americana, dove la gente s’ispira al «risparmia la verga e vizierai il bambino» (Proverbi 13-24).
schiaffo2«I più colpiti sono gli afroamericani: sono il 17% degli alunni ma quasi il 40% di quelli percossi», racconta Alice Farmer di Human Right Watch, snocciolando i risultati dell’ultimo studio sulle pene corporali nelle scuole Usa. I maschi le prendono più delle femmine, i bambini di campagna più di quelli di città. Nel complesso i piccoli americani percossi a scuola sono scesi di un terzo in pochi anni: da 300mila nel 2002-2003 a 200mila di oggi. Indice che le maniere forti tra i banchi sono comunque destinate a scomparire. Non è invece in discussione il diritto dei genitori a schiaffi e sculacciate, permessi in tutti e cinquanta gli States.
Di tutt’altro segno la situazione al di qua dell’Oceano. In Europa le bacchettate a scuola sono praticamente scomparse. Tra gli ultimi a bandirle, la Gran Bretagna. Ora nel Vecchio Continente la nuova sfida per le associazioni dei diritti dell’infanzia è proibire anche i ceffoni dei genitori.

schiaffoNel 1979 la Svezia è stata il primo Paese al mondo a vietarle.

Seguirono Finlandia (1983), Norvegia (1987), Austria (1989). Gli ultimi arrivati sono Spagna, Cile e Costa Rica. In totale 23 Paesi. Gli altri Stati continuano a considerare sberle e sculacciate sistemi educativi efficaci, non classificabili come punizioni corporali.

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«Se usate per il bene del bambino e non come reazioni scomposte alla frustrazione e alla rabbia, possono evitare danni ben maggiori» sostiene Peter Inson, ex insegnante a Londra, giornalista e scrittore di libri per adolescenti. Lui rivendica l’utilità dello scappellotto per marcare limiti invalicabili quando le parole non bastano. Si pensi, ad esempio, al piccolo che si ostina a scavalcare la ringhiera del balcone o che picchia un amichetto. «Le proposte di mettere fuorilegge gli scapaccioni —spiega —sono avventate e destinate a mandare in confusione i genitori».
Ma è proprio contro questa mentalità che combatte Pinheiro: «La cosa più sconcertante è constatare che anche nei Paesi democratici si continua ad avere un atteggiamento autoritario nei confronti dei figli. Se li picchi, dicono, è per raddrizzarli, è per il loro bene. Quello che non è più lecito sulle donne e ormai nemmeno sui cani, lo resta sui bambini».
Tra i 155 Stati che ammettono il ricorso al ceffone da parte dei genitori c’è l’Italia: una sentenza della Corte di Cassazione nel 1996 ha dichiarato illegittima ogni forma di punizione corporale ma la legge non c’è ancora. «Esiste un diritto familiare che è diverso da quello pubblico — osserva Valerio Neri, direttore di Save the Children Italia —. Che un ragazzo a scuola non vada educato a scapaccioni è accettato, mentre altra cosa è quel che è ammesso tra le mura domestiche. Che lo Stato possa proibire ai genitori di punire i figli viene considerata un’indebita intrusione».
schiaffo1Incalza Pinheiro: «A volte si ha l’impressione che il rispetto dei diritti umani si fermi di fronte alla porta di casa, e questo perché i bambini sono considerati proprietà dei loro genitori: un modo di pensare trasversale a culture e livelli sociali».
La legge britannica consente sculacciate moderate, ma non punizioni che procurino lividi, ferite e gonfiori. La proposta d’introdurre il divieto assoluto di «suonarle» ai bambini invece è stata respinta un anno fa quando da un’indagine di Downing Street è emerso che per molti genitori la disciplina si è deteriorata da quando il «bastone» è stato abolito.
«Il rimpianto verso castighi e pene corporali si spiega con il fatto che si toglie uno strumento di controllo senza sostituirlo con altri. Bisogna accompagnare il divieto con un training che insegni metodi alternativi», spiega Elda Moreno, responsabile della divisione diritti dei bambini del Consiglio d’Europa, promotore di una campagna contro le
punizioni corporali anche in ambito familiare.

«Il caso della Svezia è indicativo: quando le punizioni corporali sono state vietate 30 anni fa l’80% dei genitori era contrario; oggi, dopo molti anni di supporto a famiglie e insegnanti, solo il 5% di loro le ritiene accettabili».
Anche Jo Becker di Human Right Watch insiste su questo punto: «La Svezia è un caso riuscito perché al divieto ha unito un training, in Kenya invece non è successo: a 8 anni dal divieto le punizioni corporali sono ancora in voga».
Nel mirino ci sono i governi: «Non è una questione di criminalizzare i genitori, non vogliamo mandarli in galera perché danno una sculacciata ai figli — sintetizza Pinheiro — ma chiediamo che cambi la nozione di quello che è accettabile: gli Stati non si stanno impegnando abbastanza su questo».
Núcleo de Estudos da Violência – NEV – Universidade de São Paulo – USP
http://www.nevusp.org/portugues
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Produzido em: 20 December, 2008, 21:24


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