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“Zen to Done – Organizzati la vita!”
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al meglio, dando la giusta priorità alle cose importanti e portando a termine
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i tuoi spazi di lavoro e di piacere senza dover rinunciare a nulla.
A questo punto non mi resta che augurarti Buona Lettura e a presto!
Qualche tempo fa, una persona di mezz’età che attraversava un periodo di difficoltà relazionali, mi confidò di aver assunto un Investigatore privato allo scopo di pedinare il marito e verificare alcuni sospetti. In effetti, i risultati dell’indagine furono in linea con le supposizioni, poichè fu dimostrato che questo signore si intratteneva con un’altra donna ormai da diversi mesi. Questo fu il prologo di una richiesta di aiuto che avrebbe dovuto ricostruire la coppia ormai lacerata e ricompattare le mura familiari ormai quasi del tutto franate. Nel corso dei colloqui emerse che assumere l’Investigatore era stato soltanto l’ultimo degli stratagemmi escogitati per avere conferma dei sospetti. Prima di allora, le strategie si erano contenute al puntuale controllo dei messaggini SMS e nella lettura minuziosa di alcuni appunti presi dal marito. Dal momento che i sospetti furono confermati, i colloqui iniziarono ad assumere una piega da una parte accusatoria nei confronti del marito colpevole, e dall’altra desiderosa di ottenere da parte mia, conferme e approvazioni. I fatti parlavano chiaro: questo signore aveva un’altra donna, più giovane e senza figli, e questa relazione pare durasse ormai da quasi sei mesi.
La persona che aveva chiesto il colloquio, e che con uno pseudonimo chiamerò Anna, era dunque in mezzo ad un pericoloso guado. Da una parte aveva l’idea, del tutto illusoria, della coppia “del passato” così come era stata negli anni precedenti, e il cui ricordo era ammantato di una assoluta, perfetta, rosea armonia di cui ero fortemente perplesso. Dall’altra aveva di fronte la coppia “del futuro”, la cui immagine era frammentata e lacerata da angosce e paure. Oltre a ciò, Anna era combattuta tra il bisogno di chiudere velocemente lo strappo, con un perdono rapido ed indolore che avrebbe – almeno nelle intenzioni, idealmente – riportato il marito verso il letto coniugale, e dall’altra il forte bisogno di vendetta che gli avrebbe consentito di dare finalmente sfogo alla tanta rabbia accumulata nei mesi precedenti. La confusione era quindi poi accentuata da riflessioni personali ed intime che questo evento aveva improvvisamente portato alla luce e che riguardavano il senso di fallimento personale, la ricerca di un senso da attribuire alla vita fino ad ora trascorsa, la paura della solitudine, il senso di abbandono, la ferita del tradimento, la perdita della fiducia nella vita.
Quando nel corso dei colloqui, cominciammo ad esplorare le aree dei meccanismi di difesa, cominciò ad emergere un quadro relazionale che fu particolarmente prezioso per tutto il lavoro successivo. Emerse che, dopo la nascita dei figli, il marito (descritto come una persona sensibile ed affettuosa) si era progressivamente estraniato dalla famiglia per dedicarsi pressoché integralmente alla carriera professionale. Questo investimento gli aveva fruttato non poche soddisfazioni e una crescita che nel tempo lo aveva condotto ai più alti vertici aziendali. Anna, dal canto suo, si era invece dedicata alla crescita dei tre figli e al menage familiare, svolgendo una funzione praticamente di tutto-fare. Infatti, oltre a dedicarsi ai figli, organizzava meticolosamente la giornata del marito, predisponeva accuratamente i vestiti del giorno dopo, pianificava minuziosamente i viaggi e i pranzi di lavoro, progettava con cura quasi ossessiva le vacanze, curando i più minimi dettagli fino all’itinerario, le soste, le passeggiate fotografiche, ecc. Questo stato di equilibrio era durato per diversi anni.
Poi però aveva cominciato a vacillare una prima volta, quando il primogenito raggiunse la maggiore età e scelse di studiare in una città vicina, appoggiandosi alla casa di alcuni parenti. Ma questo primo terremoto, rientrò – racconta Anna – “perché presi a dedicarmi con maggiore intensità, ai problemi scolastici del secondogenito, che ormai da tempo erano diventati sempre più gravi”. Man mano che emergevano i racconti, dagli scenari narrati lentamente cominciava a percepirsi un quadro di relazioni per quanto scrupolose, ma spesso asettiche, razionali, limitate agli aspetti logistici ed organizzativi di una famiglia numerosa. Le comunicazioni erano pressoché integralmente comprese in ciò “che bisognava fare, ciò che dovevamo fare”. Mancava del tutto la dimensione del piacere, della condivisione, del godimento reciproco. La sensazione era che mancasse proprio una “dimensione di coppia”. La coppia originaria – cominciai a proporre ad Anna – probabilmente era stata sequestrata e tradita già molto tempo prima delle fotografie scattate dall’Investigatore privato. Proposi quindi di collocare il tradimento nel momento in cui i partner avevano permesso che la Famiglia schiacciasse la Coppia, magari pensando del tutto in buona fede, che fossero essenzialmente la stessa cosa.
Man mano che il lavoro procedeva sempre più profondamente, raggiungiamo una tappa molto importante e che riguarda non tanto la coppia, quanto principalmente il vissuto personale ed intimo di Anna. Dalla storia generazionale emerge infatti che Anna è una secondogenita, nata dopo una sorella e prima di un fratello. I genitori di Anna, molto tradizionalisti, avevano sempre desiderato un maschio, e dopo la delusione della prima figlia, avevano sperato che almeno il secondo parto li avrebbe appagati. Le cure dei genitori furono quindi rivolte pressoché esclusivamente alla primogenita e alle sue aspirazioni verso la danza classica, e al terzo figlio maschio che è rimasto il cucciolone della famiglia. Anna racconta e fa emergere una quantità enorme di episodi dove denuncia la propria sostanziale invisibilità e incapacità di attrarre le attenzioni, le cure e l’amore dei genitori. “Non mi hanno fatto mai mancare nulla – riferisce – ma se devo essere sincera, tante volte che avrei avuto bisogno di loro per i miei piccoli grandi problemi, era come se non esistessi”. Ecco allora che propongo ad Anna di mettere insieme parti che solo apparentemente sembrano separate dal tempo.
Ed in effetti Anna prende coscienza che la cura e la meticolosità che poneva nell’organizzazione pressoché dell’intero universo familiare, aveva come sfondo il bisogno di essere vista ed amata. Questa consapevolezza per Anna è quasi folgorante. In un attimo riesce a vedere se stessa prima bambina con il suo vuoto affettivo e il suo legittimo desiderio di essere amata e poi quasi contemporaneamente, osservare se stessa, adulta, che curando ossessivamente ogni minimo dettaglio, è ancora lì, congelata nel medesimo atto di essere vista, riconosciuta, e finalmente apprezzata e amata. Il bisogno di controllare ogni istante della vita dei familiari aveva finito con il perdere il suo scopo originario (ottenere l’affetto) e aveva assunto quasi una vita propria, soffocando gli spazi di coppia. Il meccanismo di difesa che la proteggeva dal dolore di non essere stata amata, aveva assunto nel tempo un carattere invasivo, indiscreto, quasi petulante. Le sue continue verifiche, controlli, le ispezioni negli zaini dei ragazzi o negli orari del marito, si erano lentamente trasformate in una sorta di sorveglianza pressoché continua che impediva la libertà affettiva.
Mentre l’inconscio ferito di Anna era ancora convinto di agire per la propria protezione dal dolore, in verità finiva per ottenere paradossalmente l’effetto contrario. Questo importante passaggio, ha determinato una nuova e diversa consapevolezza di Anna, e una migliore conoscenza dei propri modelli relazionali. Di per sé tuttavia, questo “giro di boa” non aveva ancora portato nessun risultato concreto. Il lavoro successivo fu quello di allenarsi a mettere in pratica la propria nuova visione delle cose. Non fu facile quindi accettare che il proprio vuoto affettivo non dipendeva soltanto dalle assenze del marito, ma era piuttosto un elemento molto più antico, profondo e che affondava le radici addirittura nella storia familiare di Anna e nel suo vissuto intrauterino. Era già infatti sin dal concepimento che Anna aveva percepito intuitivamente che vi era un’atmosfera di non accettazione nella sua famiglia di origine: se voleva amore e attenzione sarebbe dovuta almeno nascere maschio. Prendere su se stessa il carico e la responsabilità di questa consapevolezza le fu di grande aiuto, perché le consentì in primo luogo, di uscire da un terribile circolo di autocommiserazione e di vittimismo.
Inoltre, le consentì progressivamente di lasciar-andare, di “mollare” quel senso di iper-controllo che pesava su ogni componente della famiglia. Evitare il controllo non fu per nulla facile e necessitò di diverso tempo e comprensibilmente di diversi tentativi. Anche perché Anna aveva ormai avuto la conferma del tradimento del marito, quindi una parte di sé, riteneva positiva questo strumento di difesa. Tuttavia si trattò di un allenamento che con il tempo diede risultati davvero eccellenti. Man mano che Anna riusciva ad essere meno invadente, progressivamente cresceva la sua capacità di strutturare in maniera affettiva (e non più soltanto razionale ed organizzativa) le relazioni sia con i figli che con il marito. La logistica, giorno dopo giorno, lasciava sempre più spazio alla verità dei bisogni di attenzione, di presenza, di amore, non più pretesi, ma sempre più chiesti come dono. Altro elemento che ricominciò ad emergere tra i partner fu la riapparizione della fiducia. Gli sforzi di Anna di essere sempre meno iperpresente nella vita del marito, consentivano un dialogo sempre più sincero.
Con il tempo si verificò quello che ad Anna appariva come una specie di miracolo: mentre prima, più controllava il marito illudendosi di tenerlo a sé e più questi si allontanava, man mano che accettava di non controllarlo, il marito sembrava manifestare timidi tentativi di riavvicinamento. Paradossalmente (ma solo apparentemente), mentre Anna smetteva di essere indispensabile a tutti i costi, gli altri (marito compreso) cominciavano progressivamente ad aver sempre più bisogno di lei. Non si trattava di stravaganti teoremi sull’amore, secondo i quali “se fuggi sei inseguito”, ma semmai del processo di trasformazione, ben più profondo, che Anna aveva avviato su se stessa. Invece di continuare inconsciamente a rimpiangere l’amore non ricevuto dai suoi genitori, ne aveva preso coscienza e aveva deciso di smettere di essere indispensabile per ottenerlo. Anna cominciò un nuovo e rivoluzionario cammino personale che l’ha portata a comprendere l’amore per se stessa, con enormi effetti positivi, il primo dei quali, pratico e concreto, che smettere di controllare ossessivamente ogni dettaglio della vita di tutti, le lasciava ora un’enorme quantità di tempo libero a disposizione e molte più energie e risorse.
Ma gli effetti positivi non si sono limitati a questo. Ad oggi il marito ha diminuito moltissimo i suoi famosi “straordinari”, le sue “riunioni” fino a notte fonda, e anche le sue improrogabili “trasferte fuori città” si sono ridotte a poche all’anno. I rapporti sessuali pian piano sono ripresi, ma soprattutto la qualità della vita è molto migliorata e sta ancora cambiando in meglio. Le assenze del marito si sono concretamente trasformate in piccole grandi attenzioni, in presenza, partecipazione, affetto, amore. Gli spazi progressivamente lasciati da Anna sono stati occupati dal marito, che ha finalmente detto che “… quest’anno, invece del solito mare, vorrebbe andare in montagna, in una località da scegliere assieme!”. Anna non può avere la certezza fotografica che il marito non frequenta più altre donne (perché le ho prescritto di non utilizzare più l’Investigatore), ma – riferisce – di esserne in ogni caso sicura, di averne una certezza interiore “…che non si può spiegare a parole. Me lo sento”.
La ghiandola lacrimale permette agli occhi di muoversi liberamente, senza attrito, restando costantemente puliti. In essa risiede dunque, per analogia, la libertà di guardare senza pregiudizi e la capacità di rinnovare le proprie idee rispetto alla realtà che ci circonda. Sia fisicamente che mentalmente, l’uomo ha infatti bisogno di uno sguardo che non si fissi sulle solite cose, ma che sia dinamico e aperto al cambiamento. E la ghiandola lacrimale, nella sua funzione di consentire l’apertura e la chiusura degli occhi, esprime propriamente la capacità di passare da uno sguardo/atteggiamento introspettivo a uno rivolto verso l’esterno e viceversa; può dunque raccontarci qualcosa riguardo al rapporto tra l’inconscio e la coscienza.
È perciò fondamentale cogliere appieno il significato simbolico delle lacrime: esse rappresentano il distillato della vita emotivo-affettiva.
Il pianto esprime l’essenza dell’emozione che si sta vivendo: dolore, commozione, piacere, spavento. Tuttavia, anche il pianto apparentemente privo di motivazione concreta è significativo: segnala che il cervello, di tanto in tanto, ha bisogno di secernere questa essenza per “lavar via” dalla mente pensieri, emozioni, ricordi tristi, dolori… che rischierebbero di intossicarlo.
Un disturbo di questa ghiandola, quindi della lacrimazione, in genere indica:
– una difficoltà a guardare la realtà senza giudizi e modelli, come accade nella xeroftalmia, patologia che rende l’occhio più secco e i suoi movimenti più dolorosi; essa rappresenta un ostacolo nel cambiare punto di vista;
– una negazione dell’espressione di alcune forti emozioni, per esempio, la congiuntivite allergica, pur nel disagio che procura, consente alla persona un pianto che di solito viene trattenuto;
– La resistenza a liberarsi del passato, dal ricordo, dalla sofferenza: ci si è a tal punto identificati in essi, da ritenere che debbano rimanere presenze costanti della nostra vita. “Scioglierli” in lacrime… non si può.
Fonte: ” Dizionario di Psicosomatica” Raffaele Morelli
Paura, rabbia, gelosia invadono la nostra mente ogni giorno, rischiando di travolgerci, di annientare il nostro equilibrio minacciando le nostre relazioni affettive e la nostra salute. Cosa fare, dunque? Reprimere queste emozioni negative se esprimerle è così dannoso?
Osho ci indica una terza via, più fruttuosa: quella della comprensione. E per arrivare a questo importante traguardo ci ha lasciato questo testo: un libro da centellinare, tante massime su cui meditare senza fretta, parole da lasciar decantare dentro di noi, per illuminare gli angoli più nascosti della nostra psiche e risvegliare la nostra parte più compassionevole e sapiente.
Andando ben oltre la psicologia classica, il grande maestro di spiritualità ci aiuta ad acquisire strumenti in grado di generare una fonte di quiete e armonia e ci insegna a giocare con le nostre emozioni senza timori e preclusioni.
Come interagiscono cervello, sistema immunitario e stati emotivi? La meditazione può produrre effetti positivi sulla salute? Quali emozioni si accompagnano a una migliore qualità della vita? In che misura le condizioni psicofisiche di un individuo traggono beneficio da una crescita dell’autostima?
In occasione degli incontri della terza Mind and Life Conference, svoltasi nel 1991 a Dharamsala, in India, alla presenza del Dalai Lama, illustri scienziati occidentali e maestri buddhisti hanno cercato di rispondere a questi e ad altri interrogativi di carattere scientifico ed etico.
Daniel Goleman ha raccolto alcuni degli interventi e dei dibattiti più significativi della conferenza.
Sono medico, laureata in medicina e chirurgia, odontoiatra, omeopata e anche grafologa ed ho fatto una ricerca per 20 anni che mi ha portato a capire che il paziente semplicemente si cura da solo.
Benissimo, abbiamo capito che siamo davanti ad un medico ufficiale, anche se ufficiale non è il termine più appropriato, omeopata nonché grafologa.
So che hai scritto un libro, che ho trovato molto interessante, la “terapia verbale” ovvero la medicina della consapevolezza, ci puoi spiegare cos’è la terapia verbale?
La terapia verbale è una terapia omeopatica, verbale, che cura il male con lo stesso male: cioè il paziente quando esprime la sua malattia usa inconsciamente un linguaggio poetico e metaforico collettivo che io chiamo ‘pazientese” che si compone di proverbi, modi di dire, filastrocche etc..
Una volta che ho capito cosa mi vuol dire, rispondo con una battuta che abbia un alto contenuto emozionale, in cui spiego il motivo della sua malattia e il paziente ha una reazione: se ride, piange, entra in trance o si arrabbia significa che è quasi sempre guarito dal sintomo.
Quindi tu definisci questo come omeopatia verbale.. Sappiamo che l’omeopatia esiste da tanti anni e usa curare le malattie con il simile… sbaglio?
Quindi secondo te si può capire la malattia di una persona da come si esprime…
Esatto, a me non interessano analisi o altro, solo il modo di esprimersi delle persone aiuta la mia terapia, che non c’entra niente con la scienza… è solamente arte.
Tu affermi nel tuo libro che la vita è una commedia e la malattia è una metafora che le persone usano per manifestare il proprio disagio… ma questa metafora, serve a nascondere il disagio o a manifestarlo?
La malattia arriva da una bugia passiva, è data da uno schema che costringe l’anima. Cioè nasce un conflitto di pensiero con la propria anima. Può essere stato inculcato da qualcuno anche nella notte dei tempi o essere già nel DNA, ma l’anima non può essere presa in giro e lo rifiuta, così si manifesta la malattia.
Malattia come disagio dell’anima quindi?
Esatto
Cosa mi dici riguardo al condizionamento che le religioni esercitano sulle masse?
La religione è stata inventata per dividere le masse, sono manovre politiche usate soprattutto per dividere i sessi. A causa di tutte le religioni c’è la donna sessuale o la donna vergine, questo è il motivo principale delle discordanze fra i sessi, dalla pornografia alla masturbazione, che cementa le perversioni.
Quindi tutto nasce dalla divisione? Effettivamente la religione da 2.000 anni divide il femminile dal maschile..
Esatto con la divisione cresce il potere, la divisione crea lo schiavo e il tiranno, non c’è mai amore.
La nostra anima non cerca questo, cerca solo Amore. La malattia è il risultato.
Di tiranni ognuno di noi ne ha qualcuno nella propria vita, dal datore di lavoro al compagno…
Il tiranno è quindi chiunque voglia esercitare del potere su di te?
Sì, può essere il marito, o la moglie..
Sulla tua lunga esperienza nel campo, quanti problemi di condizionamento dell’anima arrivano dalla castrazione che deriva dalla religione?
Tutte. Ci sono in tutti i casi manipolazioni del sesso e quindi castrazioni. Le persone così sono malate dentro, e non lo sanno, fino a che la malattia non si manifesta.
Come si può uscire da queste castrazioni?
Prendendo coscienza, cambiando i sistemi.
Hai mai avuto problemi con gli amici o colleghi della tua città per le idee che stai portando avanti?
Sì, con tutti.
Sei stata messa da parte? Perché loro sono all’interno di un sistema?
Perché la verità è indecente e pericolosa. In maniera molto semplice.
Inoltre la verità che sveli sarebbe alla portata di tutti e molto economica…
Esatto, possono farlo tutti coloro che hanno spirito.
Si può uscire da questo sistema?
Sì, certo, coltivate il vostro piacere, anche se peccaminoso. Questo vi salverà dalla malattia.
Cos’è questo piacere?
L’amore è stato disgiunto dal piacere, questo è l’errore. Non si può amare quello che non ci piace.
Se amiamo tutto quello che ci piace, dal lavoro all’amico alla mamma, siamo tutti salvi.
Praticamente è la divisione che ci fa ammalare.
Quindi c’è un piano di divisione ben mirato che ci viene imposto per colpire le coscienze delle persone?
Si, questa è la semplice verità. Se c’è qualcosa di complicato e incomprensibile non deve preoccuparci. La verità è semplice.
Bene Gabriella, sei stata chiara… quindi dobbiamo cercare il piacere a 360 gradi, non solo sessuale ma in tutto ciò che facciamo, nelle cose più semplici.
Sì, il piacere non si trova nelle complicazioni, ma nelle cose semplici.
Alcuni casi a-clinici
Della serie: “Ecco, finalmente l’ho detto!”oppure “Ecco, finalmente l’ho fatto!”
Alla base di questo metodo, si trova un’indagine rigorosa quanto immediata – l’immediatezza della sperimentazione – sulla radice del malessere fisico. Se spiegata linearmente e con logica la cosa non potrebbe funzionare. Ciò che funziona è l’effetto “cortocircuito” (effetto choc) che per un momento fa cadere tutte le razionalizzazioni sulle nostre “importantissime” malattie.
Uno dei casi recenti, raccontato da Gabriella:
“Si presenta una paziente con dei calcoli salivari. Non so niente del suo lavoro.
Appena mi espone il problema sbotto dicendo: “Signora mia, ma lei quanti calcoli fa durante il giorno?”. Lei pronta risponde: “Tanti davvero, lavoro come ragioniera in un poliambulatorio!”
In quel preciso istante ride, sente un gran calore sul viso e nel giro di una settimana i calcoli, sciogliendosi, vengono espulsi”.
Un’altra paziente racconta di essere guarita grazie alla lettura del libro stesso. La consapevolezza dell’origine del suo disturbo – un inizio di sclerosi a placche – è stata sollecitata dagli esempi citati nella piccola pubblicazione.
La paziente deve rinunciare al suo amore per l’attività fisica (amante dello sport e appassionata escursionista). Soffre infatti di tremore con conseguente indebolimento delle fasce muscolari, sta rischiando seriamente la paralisi alle gambe. Inoltre essendo figlia di genitori separati ha fatto voto di non separarsi mai.
Spazientita dall’allopatia conosce altre terapie alternative, tra cui l’opportunità di meditare (osservazione del respiro) sotto una piramide. E’ durante uno di questi momenti introspettivi che si trova, improvvisamente, a sostenere un monologo interiore: “ Perché tremi?” “Perché ho paura”. “Di che?”. “Ho paura di perdere il contatto con la terra…”. “Paura di che cosa?” “Di allontanarmi (vedi separarmi) da mio marito”.
Ecco, l’ho detto! L’innominabile!
Di seguito si separa dal marito, riacquista tutta la forza muscolare e, ovviamente, decide di conoscere più da vicino la D.ssa Mereu.
In certi casi si tratta di: Ecco, l’ho fatto! Ciò che mai e poi mai andrebbe fatto! Come nel caso di: prendere un preservativo, metterci dentro una medaglietta della Madonna, inserire il tutto in vagina e andare a fare la comunione senza confessarsi. Al ritorno, seppellire “il reperto” in un vaso di fiori.
In questo modo Gabriella sostiene di aver guarito molti casi di cisti ovariche, fibromi e svariati disturbi a carico del sistema riproduttivo femminile. “E non si dica che ci si astenga dal dovere di riprodurre per godere! Guardate in quanti modi siamo in grado di moltiplicare la vita (oltre a quelli già citati: polipi, aderenze, tumori…)!” Ammicca Gabriella Mereu.
La dottoressa Mereu, ormai famosa in tutta Italia per la sua ricerca, presenta la sua tecnica d’interpretazione del sintomo: “la terapia verbale”. I suoi studi dimostrano come il malato stesso parlando dei propri disturbi rivela sotto forma di metafora il conflitto che l’ha portato alla malattia.
La mimica, le espressioni figurate, i modi di dire, la grafia, sono indicazioni preziose per svelare i propri sintomi. Imparando a decodificare le metafore, il paziente può risalire all’origine dei blocchi mentali e quindi arrivare alla guarigione.
Questo video fornisce gli strumenti di consapevolezza per essere più vigili e attenti agli indizi che il corpo ci offre. A tutti coloro che sono stanchi di soffrire, a tutte le persone sensibili che stanno cercando la strada della loro evoluzione che conduce anche alla salute e al piacere.
“Chi perde il contatto con l’eros che è l’amore, il piacere, l’unione, la libertà, perde la capacità di sentire l’altro, perde il senso di tutto ciò che fa, rimane un bambino che baratta la sua passione, che è il suo motore, in cambio della considerazione e della protezione del gregge, cadendo così sotto il potere dell’ Ipnotizzatore…. nella sua pazzia è portato ad ammalarsi”.
Gabriella Mereu
La mimica, le espressioni figurate, i modi di dire, la grafia sono tutte indicazioni da cui si possono trarre utili indicazioni per individuare i blocchi mentali ed emozionali all’origine di numerosi disturbi come ad esempio un mal di testa che ci costringe a chiudere un occhio… per non vedere la moglie civettuola.
Prefazione del libro “La Medicina della Consapevolezza” di Gabriella Mereu
Un giorno, durante una visita omeopatica ad un paziente che non riuscivo a curare dalla sua allergia, mi venne un’idea: pensai, se l’omeopatia non è un rimedio ma un principio, io allora questo principio potrei usarlo anche solo verbalmente.
Cioè, se come ho tante volte constatato durante la mia esperienza di medico omeopata, la malattia è sempre, o quasi, di origine psicosomatica, io potrei applicare la legge dei simili (curare il male con lo stesso male), che è alla base della medicina omeopatica, non con un preparato omeopatico, ma con le parole.
Avevo altresì imparato che la malattia è un’espressione che non fa altro che rivelare in maniera metaforica un vissuto emozionale, che ha portato alla malattia stessa.
A questo punto pensai che avrei potuto fare omeopatia verbale se, sciogliendo la metafora, avessi detto al paziente quale era il male morale che lo aveva portato alla malattia.
Per poter sciogliere la metafora bisogna avere doti e conoscenze analogiche. Io ho la fortuna di averle, perché, essendo grafologa, da diciassette anni riesco a ricavare il carattere di una persona leggendone e interpretandone la scrittura. La grafologia è, infatti, una scienza che si applica su basi analogiche.
Quel primo paziente di cui ho appena parlato e che aveva una strana allergia alle arance lo curai, infatti, sciogliendo una metafora. Da allora (è successo nel 1996) curo quasi solamente così dolori di tutti i tipi: vertigini, parestesie, emorragie, diarree, verruche e altre eruzioni cutanee, rivelando il significato della malattia-espressione-metafora.
Questa espressione-metafora me la rivela lo stesso paziente con un suo linguaggio che, come ogni lingua, ha la caratteristica di un parlare collettivo in cui ogni parola ha un preciso significato, simile per tutti gli individui che l’adoperano.
Ma il suo significato è celato dietro un’analogia: quest’ultima manifesta un’espressione emozionale. Vi anticipo un esempio: il paziente esprime spesso verbalmente la parola “appoggiare”: questa parola manifesta l’esigenza non soddisfatta di avere un appoggio affettivo del prossimo. Questa espressione la ritrovo verbalmente nel dolore alla nuca, quando la persona “non può più appoggiare la testa sul cuscino” oppure, fisicamente, nelle eruzioni cutanee, come per esempio la psoriasi, che si manifesta preferibilmente nei punti d’appoggio: ginocchia, gomiti, nuca, natiche, talloni. –
Il linguaggio metaforico del paziente è bellissimo e commovente e io l’ho denominato “pazientese”. Più ne raffino la conoscenza, più aumentano le mie capacità terapeutiche attraverso esso.