COMUNICAZIONE

COMUNICAZIONE

Parola oggi molto usata e talora “abusata”, la comunicazione indica in senso generale quell’insieme di segni e di messaggi – verbali e non – che servono per trasferire ad atri delle informazioni ma anche delle emozioni.

Secondo la definizione del linguista russo Roman Jakobson, per comunicazione si intende il processo linguistico di scambio da un emittente a un ricevente attraverso un canale e mediante un codice comune a entrambi.

La comunicazione può essere di due tipi, verbale e non verbal.e La prima utilizza parole, immagini, segni e testi scritti (su carta ma ora anche su strumenti elettronici).

La seconda impiega tutta una serie di comportamenti corporei come le posture, la distanza tenuta con l’interlocutore,le smorfie, i movimenti eseguiti con il capo o con le mani mentre parliamo, e così via.

“Tu diventi ciò che dici”

Parafrasando il detto per cui “l’uomo è ciò che mangia, si potrebbe dire che ognuno di noi “diventa le parole che dice”. In effetti, comunicare è semplice come respirare. Tuttavia “comunicare” non significa semplicemente “informare“: vuol dire “entrare in relazione” (e dunque scambiare informazioni, messaggi, sensazioni…) con soggetti esterni a noi. Per ogni essere vivente non comu­nicare è praticamente impossibile perché anche il silenz­io, lo sguardo, gli atteggiamenti non verbali o le smorfie del volto sono aspetti che “parlano” per noi e manifestano il nostro modo di essere, l’universo dei nostri stati d’animo.

Una buona comunicazione inizia dalla pancia

E’ stato dimostrato che il feto è in grado di percepire attraverso il ventre la voce della madre che gli parla durante i nove mesi di gravidanza, come pure i suoni e le musiche provenienti dal mondo esterno.

In tal modo tra mamma e bambino si instaura subito una forma di comunicazione che non fa sentire “isolato” il nascituro e, contemporaneamente, crea un legame tra la gestante e il bimbo, aiutando la donna a superare le ansie e i dubbi tipici dell’attesa.

Le regole per una comunicazione felice continua…

BENé 2008. Fa bene esserci

Quando: dal 13 al 16 novembre 2008
Dove: Fiera di Vicenza

PROTAGONISTA IL WELLNESS LIFESTYLE

Benessere: sensazione unica, tante declinazioni. Cosa c’è oltre? Uno stile di vita in continua crescita.

BENé, la fiera dedicata ai molteplici comparti del settore benessere, al quinto anno si evolve e diventa il principale luogo di incontro fra chi, per cultura e per business, contribuisce all’affermazione del wellness lifestyle: dalla vacanza alla progettazione SPA, dal relax della mente ai trattamenti estetici, dalla cura del corpo all’abitare eco-compatibile.

A BENé il wellness è verde, segno di un forte ritorno alla natura, ad un benessere essenziale, autentico, felice e sostenibile.

BENé porta in fiera la domanda di wellness concept personalizzato, su misura, rispettoso dell’uomo e dell’ambiente e si configura come luogo esclusivo di affari, ma anche spazio privilegiato di cultura e di tendenza.
BENé è la vetrina esclusiva e l’appuntamento irrinunciabile per tutte le aziende che si riconoscono nel mercato del wellness lifestyle, definito dal salone vicentino in 4 aree.

area WELLNESS TOURISM

area SPA DESIGN & CONTRACT

area BEAUTY & TECHNOLOGY

Novità assoluta: area LOHAS LIFESTYLE

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Imparare a Stare con gli Altri

Imparare a stare insieme agli altri

La tecnologia ed internet aiutano le persone ad avere esattamente ciò che esse vogliono, ma non si può andare on line ed ordinare un vero amico. Quando le cose non vanno per il giusto verso, non si desiderano e-mail, ma una persona che ti prenda per mano, qualcuno che ti sia realmente vicino. Bernardo J. Carducci, professore di psicologia presso la Indiana University Southeast e direttore dello Shyness Research Institute sostiene che gli americani, oggi come mai prima, soffrono di solitudine ed hanno pochissimi amici. Oggi si arriva perfino a non rendersi più conto che per farsi degli amici occorre avere delle abilità, di conversazione, di negoziazione, di empatia. Invece tutti pretendono un’amicizia immediata. Tutto si può comprare, perfino la pizza ti arriva a casa, così come un film a videonoleggio, hai le tue amicizie on line, scelte in qualche chat di persone che ha i tuoi stessi interessi… Niente più discussioni e confronti Carducci onsiglia allora, per tornare ad essere una persona ‘sociale’, di interessarsi di più alla vita degli altri, ad esempio attraverso il volontariato. Basta insomma documentarsi sulla vita delle star e fregarsene completamente per ciò che accade al nostro vicino di casa! Occorre riabituarsi a stare con gli altri. Le persone desiderano la compagnia, ma poi si aspettano che siano sempre gli altri ad avere dei buoni discorsi da fare ed iniziative da proporre… E se cominciassimo noi per primi?

Fonte: Indiana University

A cura della Redazione del sito
Clinica della Timidezza

Lettura consigliata qui

Comunicazione Consapevole

– Principi di Comunicazione Ecologica

La Comunicazione Ecologica può essere applicata a tutti gli aspetti della vita umana: il rapporto di coppia, la famiglia, il lavoro, la scuola, l’amicizia, ma è particolarmente utile in tutte le situazioni che prevedono una dinamica di gruppo. Ecco alcuni dei principi basilari.

  • Evitare la monopolizzazione
  • Evitare di dominare il gruppo e offrire le proprie idee sostenendole con i fatti in modo succinto e chiaro. Esprimere se stessi, i propri bisogni e le proprie emozioni lasciando spazio anche all’espressione altrui.

Come: non dilungarsi nei dialoghi e nell’eventuale espressione non verbale – esprimere le proprie idee in modo succinto – usare una lavagna per schematizzare e illustrare i contenuti in modo più conciso ed essenziale – gestire e regolare gli interventi dei partecipanti troppo attivi e favorire la partecipazione dei meno attivi – proporre la creazione comune di regole atte a favorire una partecipazione omogenea di tutti i presenti.

  • Evitare il dogmatismo

Rispettare il territorio degli altri. Opinioni e idee diverse possono convivere una accanto all’altra invece di sovrapporsi

La gente preferisce ascoltare idee che siano possibilità su cui riflettere e non verità da mandar giù. L’imposizione delle proprie idee produce risentimento piuttosto che dialogo fruttuoso.

  • Usare formule propositive anziché direttive per non infantilizzare i partecipanti.

Come: non contraddire – proporre invece di imporre – parlare delle proprie esperienze invece di dire agli altri cosa devono fare – parlare per se stessi e non generalizzare (non dire “tutti noi sappiamo che…” ma dire “secondo me…”) – evitare toni dogmatici o autoritari – non reagire ai toni dogmatici

  • Evitare di dare giudizi pesanti
  • Essere consapevoli della complessità e della varietà delle situazioni e non costringere la realtà entro concetti dualistici (bianco o nero – buono o cattivo – vero o falso).
  • Cercare di vedere i vantaggi e gli svantaggi da ogni punto di vista evitando di cadere nella trappola del chi ha ragione e chi ha torto – valutare insieme eventuali vantaggi e svantaggi di una situazione o di un progetto.
  • Focalizzare l’attenzione sugli eventuali punti di accordo piuttosto che sulle differenze e sul disaccordo –

(non dire “hai torto…” ma dire “io ho un’opinione diversa…”, non dire “questa sarebbe una pessima scelta…” ma dire “per ogni scelta ci sono vantaggi e svantaggi … in questo caso io vedo più svantaggi che vantaggi”).

  • Permettere sempre a chiunque di salvare la faccia. Trasformare i giudizi pesanti che si ricevono in suggerimenti positivi
  • Non scivolare nelle implicazioni provocatorie e negative di giudizi pesanti che si possono ricevere – ignorare la provocazione oppure usarla come punto di partenza per ottenere più informazioni e per iniziare un dialogo migliore – chiedere l’alternativa positiva – chiedere chiarimenti.
  • Esprimere i propri bisogni personali evitando atteggiamenti moralistici

evitare la trappola di esprimere i propri bisogni personali facendo la morale ma esprimerli in modo chiaro diretto e rispettoso.

  • Evitare l’utilizzo del verbo “dovere” – (non dire “tu devi”, Il tu dovresti% “sarebbe tuo dovere” ma dire “mi piacerebbe che tu…”, “vorrei che tu…% “ho bisogno che tu…”)
  • Favorire relazioni di qualità e un dialogo efficace trai partecipanti
  • Favorire opportunità di incontro, condivisione e amicizia tra i partecipanti (etichette autoadesive con i nomi nei gruppi numerosi)
  • Verificare eventuali timori e favorire situazioni di fiducia e sostegno reciproco Permettersi l’espressione dei propri sentimenti e stimolare quella degli altri
  • Nel dialogo favorire l’utilizzo di esempi concreti anzi che di concetti astratti — Evitare di uscire dal tema e verificare che l’attività del gruppo prosegua nella direzione programmata — Ammorbidire situazioni di conflitto e atteggiamenti polemici — Evitare le situazioni dispersive regolando le attività e gli interventi.
  • Mettere in evidenza i suggerimenti positivi
  • Evidenziare le possibili potenzialità positive future piuttosto che eventuali situazioni negative del passato (non dire “non voglio più che tu faccia…” ma dire “vorrei che tu facessi più…”)
  • Rimanere positivi

Utilizzare l’apprezzamento e l’incoraggiamento piuttosto che la critica

tutte le informazioni che desideriamo dare per criticare o correggere un errore possono essere poste in termini di potenziale positivo (non dire “sei goffo” ma dire “stai attento”, non dire “non essere egoista” ma dire “puoi essere più generoso”, non dire “tu non rifletti mai prima di…” ma dire “puoi riflettere prima di…”)

Altri esempi di linguaggio negativo e positivo: non dire “non sai niente” ma dire “puoi imparare” — non dire “sei un incapace” ma dire “puoi migliorare le tue capacità” — non dire “devi tacere” ma dire “è importante ascoltare”

  • Evitare atteggiamenti ironici verso terzi… l’ironia può essere molto più interessante se rivolta a se stessi piuttosto che verso gli altri

E ancora…

  • Preferire un atteggiamento comprensivo ma non deresponsabilizzante (ti voglio sostenere, ma non voglio farlo al tuo posto).
  • Controllare la gestione del tempo in funzione degli obbiettivi dell’incontro e del numero dei partecipanti — verificare che tutti i presenti possano rispettare gli orari come da programma

Fare attenzione al livello energetico del gruppo ed alla capacità di attenzione.

Il Destino come Scelta

Il Destino come Scelta®

Stage 1° – 29/30 Novembre 08
Villaggio della Salute +

Con
Emiliano Mezzadri
Naturopata – Consulente Olisico – Counselor – Coach
Master Trainer LIFE Vitality System

Data: 29 – 30 Novembre 2008
Luogo: Villaggio della Salute + Via Sillaro, 6 Monterenzio (BO)

Lo utilizziamo senza saperlo e ci accade persino di fare dei disastri. Capire il suo meccanismo vi permetterà d’incontrare le persone giuste e di vedere le porte aprirsi davanti a voi. La fortuna non esiste. In compenso, esiste il pensiero ed il cervello fa il resto. Naturalmente vi sono alcune regole da rispettare per un successo duraturo, poiché viviamo in un universo di cui siamo parte integrante. Se capiamo le strategie del cervello inconscio e le impostiamo nel rispetto delle leggi universali, il successo è alla portata di tutti, anche dei meno abbienti.

Questo seminario è un magnifico percorso di crescita per liberarci dalla paura di non essere accettati, di non essere amati, di non essere all’altezza dei nostri compiti. Raggiungendo il nostro equilibrio interiore, ci trasformiamo in veri e propri catalizzatori di energia positiva, realizziamo i nostri obiettivi professionali e personali e diventiamo capaci di relazionarci agli altri con efficacia, empatia e profondità. Dalla paura al coraggio, dal sabotaggio all’azione, dalla rabbia al perdono, dai dubbi alla certezza.

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Mini Digiuno d’Autunno

MiniDigiuno d’Autunno

ritiro a tema su “i Dieci Killer dell’Energia Vitale”

Sabato e Domenica 25/26 Ottobre (con arrivo il venerdì sera)
Casa Sasso – Castel San Pietro Terme – BO
adesioni entro mercoledì 15 ottobre – 3891845925 (Leonarda) 3495068300 (Betty)

Sei stanco/a di barcamenarti fra i “soliti fastidi” di uno stato di salute

mediocre e un livello di energia che non ti soddisfa?

SCARICA IL PROGRAMMA COMPLETO qui

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Superbrain Yoga



Superbrain Yoga è una tecnica, svilupata dai grandi Rishi indiani per aumentare l’intelligenza delle persone, basata sul principio dell’agopuntura auricolare.

Sfortunatamente la tecnica appropriata per eseguire questo esercizio è stata distorta ed è andata perduta.
Per comprendere i principi che stanno alla base del Superbrain Yoga, Master Choa, autorevole esperto nell’utilizzo dell’energia o prana per la guarigione, il benessere e la spiritualità, spiega in questo libro alcuni nuovi concetti scientifici e l’intera tecnica. Il Superbrain Yoga può fornire “il carburante energetico” in grado di mantenere in forma il nostro cervello e può aiutarci ad affrontare gli effetti più comuni dell’invecchiamento della mente. In pratica il Superbrain Yoga attiva i centri energetici superiori ed energizza sia il cervello che il sistema nervoso…

Master Choa Kok Sui è autore di fama internazionale. Ingegnere chimico, uomo d’affari di grande successo, discendente di un’antica famiglia cinese; vive nelle Filippine, ma viaggia in tutto il mondo come Maestro spirituale e Mastro di Pranic Healing, diffondendo la sua opera e i suoi insegnamenti sulle scienze interiori. Ha rivelato i misteri del mondo dell’energia sottile con la realizzazione del best seller, edito in 17 lingue, Miracoli con il Pranic Healing. Il Pranic Healing oggi è diffuso in più di 30 paesi.

Lo studio pilota sul Super Brain Yoga è stato condotto nel New Jersey su bambini dai 5 ai 9 anni, con disabilità di varia natura tra cui difetti neurologici, sindromi da deficit di attenzione / iperattività, disturbi psicotici depressivi, disturbi di apprendimento ecc
Un altro studio fu condotto nel sistema scolastico in Norristown, Pennsylvania su ragazzini adolescenti per stimare l’impatto di Super Brain Yoga sui loro comportamenti e risultati accademici.
Super Brain Yoga è stato quindi integrato nel processo educativo scolastico.

Si è verificato che gli studenti che praticano questa tecnica beneficiano di un ridotto stress psicologico e sono in grado di concentrarsi sui propri studi in maniera più efficace. Altro vantaggio di Super Brain yoga è una maggiore capacità di regolamentare il sesso guidare soprattutto per i ragazzi. Prolonged practice of super brain yoga makes the student look brighter, smarter, greater intelligence, creativity, inner peace and more psychologically balanced. Una pratica prolungata di Super Brain yoga rende allo studente un aspetto più luminoso, più intelligenza, creatività, pace interiore e un maggiore equilibrio psicologico.

Dato che questa pratica attiva il più alto dei centri di energia ed il sistema nervoso, è possibile utilizzare Super Brain yoga per alleviare le condizioni dei pazienti con disturbi psicologici e/o cerebrali come pure i disturbi del sistema nervoso.

Tutto questo deve essere fatto sotto la supervisione di un medico e di un qualificato pranic Guaritore.

Grand Master Choa Kok Sui

http://www.superbrainyoga.org

Master Choa Kok Sui

Superbrain Yoga

Eifis Editore

Bioarchitettura: GREEN BUILDING

VERSO LA NATURALITÀ DELL’EDIFICIO VERTICALE

Gli architetti Tiziano Lera e Stefano Parancola, cultori delle discipline della bio-architettura e del Feng shui coadiuvati da un team di professionisti (ingegneri, agronomi, botanici, geologi, geobiologi,…), stanno mettendo a punto un progetto pilota di edificio verticale ad impatto zero.

Primo nel suo genere, l’edificio di 80 piani, sarà un grande fiore che galleggia sull’acqua e celebrerà la sua danza dell’armonia, il suo matrimonio fra Cielo e Terra nella naturalezza, assorbendo dal cosmo le energie positive poichè avrà un’enorme fontana a lemniscata (dal greco lemnis = fiocco), che ionizzerà il sito e lo proteggerà creando un interscambio fra il micro e il macro alchemicamente perfetto. Sfrutterà la ventilazione naturale, tipo “ termitaio” con grandi pareti verdi per raffrescare, lemniscate (vasche d’acqua a forma di petalo) che rivitalizzano e ionizzano l’aria indoor.

Il sole captato dalle vetrate a sud riscalderà nei mesi invernali e verrà riflesso nei mesi estivi attraverso particolari sistemi di brisoleil (frangisole). L’utilizzo della psicologia del colore, la cromoterapia con la tecnologia a “ Led” in funzione del tempo atmosferico, lo studio di forme sinuose e dinamiche e l’inserimento di materiali sostenibili contribuiranno a rendere armonico, gioioso e vivibile l’intero edificio. Arte, musica e natura saranno i pilastri del progetto.

La gente verrà trasportata dal suono dell’acqua, dai profumi naturali rilasciati dalle piante e dai fiori, affascinata dal canto degli uccelli e dal volo delle farfalle, infine i colori (delle strutture, dei muri e dell’arredo) stimoleranno e calmeranno nei diversi spazi abitativi.

L’edificio verrà schermato da eventuali problemi di elettrosmog e campi radianti dal sottosuolo, invertendo la polarità del ferro (con picchetti polarizzatori) ed utilizzando l’acciaio austenitico per le sue proprietà amagnetiche.

Vento, acqua, vegetazione, radiazione solare, geotermia, energie rinnovabili (fotovoltaico, pannelli solari, vetrages…), studio attento del colore, utilizzo di materiali e tecnologie ecocompatibili e risparmio dell’acqua saranno i must del progetto pilota che verrà presentato il prossimo 5 – 6 ottobre a Hong Kong in occasione del Second International Conference on Scientific Feng shui & Built Environment.
Il Feng shui infatti, nasce in Cina più di 3.000 anni fa, ed ha caratterizzato con i suoi principi: città, monumenti, architetture, giardini ma di riflesso in definitiva le persone che vivono questi luoghi, ritrovando se stessi, ritrovando la città, ritrovando il futuro con un nuovo “qui e ora”.

Stefano Parancola


Un esempio significativo di edificio biosistemico in via di realizzazione
Hotel Versilia Holiday, Forte dei Marmi. arch. Tiziano. Lera ed alii
Prototipo di green building verticale a destra, campanula come ispirazione a sinistra
T. Lera – S. Parancola

Felicità

Felicità

Una condizione dell’essere

La felicità è uno stato d’animo, una condizione dell’essere. Quindi esistenza e felicità dovrebbero essere addirittura sinonimi.

Allora perché la maggior parte delle persone afferma di non esserlo? Cos’è che ci impedisce di sentirci felici? Paure, insicurezze, pensieri inquietanti sembrano mettere la felicità fuori dalla nostra portata. Ma non è così: la felicità dipende solo dai nostri procedimenti mentali, ovvero dall’uso che facciamo del nostro cervello.

Perché è lì e non nel mondo esterno che si gioca la partita tra felicità e infelicità.

Il cervello è uno strumento che possiamo utilizzare bene o che può ritorcersi contro di noi, partorire grandi cose ma anche produrre solo scarti. Gli scarti della mente cui finiamo per attaccarci, ritrovandoci puntualmente infelici.

Quando il nostro cervello non produce solo scarti, nessun ostacolo si frappone fra il pensiero unico e le sue realizzazioni, e le cose si concretizzano una dopo l’altra molto facilmente. Le realizziamo, le viviamo e andiamo oltre, liberando la mente da ogni ricordo, dubbio o attaccamento.

Solo così il cervello rimane sgombro, lucido, pronto a formulare nuovi progetti senza rimpianti e ad abbandonare ciò che ha già realizzato, evitando di continuare a girare in tondo avvitandosi su se stesso. Questa è la strada dove nasce la felicità.

Quando un monaco buddista costruisce un complesso mandala con la sabbia colorata, ci lavora per giorni con precisione e impegno, dedicandogli tutta la sua attenzione. Poi, quando l’ha terminato, senza alcuna esitazione lo distrugge soffiandoci sopra.

L’ha creato, era perfetto, se ne è liberato.

Per chi lo osserva dall’esterno questa operazione appare incomprensibile: era bellissimo, ha impiegato un sacco di tempo a realizzarlo perché non lo conserva? Perché è passato.

Se lo conservasse, finirebbe con l’ingombrargli la mente: comincerebbe a paragonare tra loro i vari disegni per scoprire sviluppare un mandala ideale, il più perfetto mai realizzato… aprendo le porte all’ansia e all’insoddisfazione.

Ognuno di noi dice: Sarò felice quando… quando avrò la macchina nuova, la casa più bella, la compagna o l’amante ideale, quando incontrerò quale gli è venuto meglio, a

chi mi capirà. E ancora, quando avrò più soldi, quando piacerò di più ai miei amici, quando sarò dimagrito, quando, quando…”.

Possiamo chiamare questo processo “distruzione della gli attaccamenti” o “stare nel presente”… ciò che conta è arrivare a una norma di vita quotidiana. Solo un cervello che opera in questo modo sarà in grado di renderci perfettamente felici, perché realizza ciò che abbiamo pensato e poi se ne libera per lasciare posto a un altro pensiero, senza produrre ristagni di scorie.

L’infelicità è data dalla mente che si perde nei meandri dell’inutile e gira a vuoto su se stessa come un motore lasciato in folle.

Noi siamo infelici perché non vogliamo accettare che la maggior parte delle cose che facciamo è già passata, come se fosse morta.

E anziché lasciarla andare per far spazio a qualcosa di nuovo facciamo di tutto per trattenerla, innescando una pericolosa spirale che ha come unico risultato quello di potenziare gli effetti dell’infelicità. Il pensiero infatti blocca l’azione.

Supponiamo che una persona sia convinta che per sen­tirsi più realizzata dovrebbe cambiare lavoro. Il cervello sa sempre come valorizzare la nostra creativi­tà, basterebbe seguire il suo suggerimento.

Ma poi entra in gioco la mente «Prima però devo pon­derare bene se ne vale la pena»

che intrappola il pro­getto nella sua rete di razionalizzazioni… «Chi mi ga­rantisce che dopo non sarà ancora peggio?». Inevitabilmente le razionalizzazioni innescano il dubbio «Se fallisco diventerò ridicolo» – che ci fa diventare insicuri, rendendoci schiavi del giudizio altrui. A questo punto scattano i falsi obiettivi: «Cambierò lavoro solo quando ne avrò uno superiore alla mia posizione attuale».

Prigioniera di un obiettivo, quella che doveva essere una nuova possibilità di autorealizzazione viene messa in attesa di soddisfazione… «Ripensandoci chi me lo fa fare, dopo tutto come dice il proverbio “chi lascia la strada vecchia per la nuova”… in fondo non sto così male». L’attesa ha reso l’idea ammuffita e l’idea creativa scaturita dal cer¬vello è stata abbandonata.

Dovremmo ricordarci che l’atmosfera desolata è qualcosa che creiamo noi continuamente, chiudendoci nei luoghi comuni, nelle trovato aspettative inutili, nella ricerca di ciò che non ci appartiene Stiamo male perché lottiamo con tutte le nostre forze contro ciò che siamo nel più intimo, contro le risorse che possediamo e che sono lì per farsi scoprire, per essere portate alla luce. Il cervello è stato creato per trasformare immediata­mente ogni impulso in una creazione, nella nascita di qualcosa di nuovo.

Dubbi, incertezze, ambizioni, falsi bisogni, le certezze a cui ci attacchiamo non sono altro che la morte del cervello, scarti che devono essere eliminati perché ostacolano la creatività e impediscono la trasformazione immediata delle idee in azioni, provocando infelicità.

Siamo così legati alle scorie del cervello e facciamo di tutto per tenercele in testa, senza renderci conto che stiamo accuratamente conservando immondizia.

Ridi per essere felice

La saggezza popolare l’ha sempre saputo: ridere fa bene, anzi fa benissimo perché, come dice il proverbio, «Il riso fa buon sangue». Per il buddismo Zen poi, quindici minuti di risate equivalgono a sei ore di meditazione. Del resto la capacità di ridere appartiene solo all’uomo, proprio come la coscienza.

Nessun altro essere vivente le possiede, il che dovrebbe indurci a riflettere sulle relazioni tra queste due facoltà. Il fatto è che l’effetto comico nasce da un’incongruenza, da uno scarto rispetto alla consuetudine, alla normalità, al prevedibile. La risata che ne deriva nasce quindi da una “frattura” del pensiero lineare, il pensiero dell’Io, che improvvisamente perde consistenza davanti all’irruzione di un elemento imprevisto.

In altre parole, la risata cambia i piani di riferimento della realtà, facendoci vedere le cose da una prospettiva diversa. Questo allarga la nostra coscienza, cambia l’atteggiamento mentale. La consueta mappa mentale che attraverso la routine della vita, i traumi e i dispiaceri si era formata in noi, viene dissolta dal comico; attraverso la risata, cambia colore, dimensione, suono.

Dopo Patch Adams, la terapia del riso si è diffusa un po’ ovunque nel mondo, come al “St. Joseph HospitaV di Houston, dove le suore raccontano barzellette ai pazienti o al “Marcus Mc Causland” in Sud Africa, dove viene proposta la comicoterapia con nastri video, audio, libri e spettacoli.

Perciò se vi sentite tristi oppure infelici, invece di prendere una pillola provate a ridere di gusto… vi sentirete più leggeri e, insieme al torace, anche la vostra visione del mondo si allargherà.

Alcuni scienziati poi hanno scoperto che i muscoli messi in gioco per assumere un’espressione triste o corrucciata, sono molto più numerosi di quelli necessari per farsi una bella risata. Per sua natura quindi, l’uomo sarebbe più portato a ridere che a essere crucciato.

Tutti noi, infatti, nasciamo con una naturale tendenza all’allegria, al gioco e alla felicità: basta guardare un bambino piccolo per convincersene – tutto lo diverte, tutto lo fa ridere e osservandolo siamo irresistibilmente spinti a sorridere con lui.

Tuttavia, più diventiamo adulti, più questa naturale inclinazione si offusca, per essere sostituita dall’ansia, dalla depressione e dalla paura… fino a rinchiuderci in una gabbia di infelicità.

Eppure basterebbe fare appello alla nostra capacità unica di ridere per romperne le sbarre… e la saggia intuizione dei proverbi sul riso ha ormai trovato ampie conferme scientifiche. iniziativa a fornire risultati.

Il primo a sperimentare le qualità curative del ridere, sul piano fisico come su quello psicologico, è stato Hun ter Adams, un medico americano divenuto famoso con il nome di “Patch” Adams, considerato l’inventore della comicoterapia.

Patch decise di diventare medico quando, ancora adolescente, venne ricoverato in un istituto per malattie mentali perché soffriva di crisi depressive, ma frequentando l’università si rese conto ben presto che gli studenti erano sistematicamente incoraggiati a mantenersi distaccati dai propri pazienti, a concentrarsi solo sulla loro malattia.

Dopo la laurea fondò quindi una clinica privata, il “Cesundheit Institute”, in cui mise in pratica un metodo rivoluzionario di approccio al malato: «Ho sempre pensato che fosse strano e triste il fatto che le persone non abbiano alcun problema a comportarsi in modo rabbioso o burbero, ma che siano imbarazzate dal dover mo strare sentimenti positivi… sappiamo tutti quanto sia importante l’amore, eppure, con quale frequenza viene provato o manifestato veramente? 1 mali che affliggono la maggior parte dei malati, come la sofferenza, la noia e la paura, non possono essere curati con una pillola».

Così scrive Patch in un suo libro, illustrando i motivi delle sue strane prescrizioni umoristiche, dei travestimenti da clown o da gorilla, delle stanze piene di palloncini o di una vasca da bagno colma di tagliatelle: tutto per strappare un sorriso, per instaurare un contatto emotivo con un paziente e rompere il suo schema mentale di “malato” facendolo scoppiare in una risata.

All’inizio la sua clinica poco ortodossa suscitò una certa resistenza nell’opinione pubblica, ma col tempo sia i media che gli ambienti medici hanno cominciato a prestargli una grande attenzione e le ricerche nate dalla sua

Di recente, per esempio, una ricerca scientifica presentata all’ “American College of Cardiology” di Orlando, in Florida, ha confermato che ridere fa bene al cuore. Anzi, la risata è un vero e proprio farmaco: una somministrazione di quindici minuti al giorno migliora la circolazione del sangue e previene le malattie cardiovascolari. E senza alcun effetto collaterale!

Inoltre una risata ristruttura l’intero organismo: oltre all’effetto rilassante generale, allarga il torace e il respiro, facilita la digestione e ha anche un importante effetto antidolorifico.

In più, ridere stimola il sistema neuroendocrino a rilasciare beta-endorfine, neurotrasmettitori che innalzano il tono del sistema immunitario.

È ormai accertato, infatti, che molti problemi di salute sono collegati allo stress, alle emozioni negative, alla depressione, alla paura.

La felicità è lì, nell’Essere, senza il ricordo di avvenimenti e immagini del passato che il filtro della memoria ha deformato.

Solo così puoi essere davvero spensierato.

Il segreto della felicità sta in piccole cose: nell’imparare a vivere l’istante, nell’essere aperti alla vita, indipendenti dagli altri ecc. La felicità si presenta soprattutto nell’azione, quando non lasciamo posto ai pensieri, alle rimuginazioni.

Vediamo qui di seguito alcuni semplici atteggiamenti che ci aiuteranno a essere più felici.

  • Agisci rapidamente

È importante tradurre ogni idea in azione, per impedire che il pensiero si ripieghi su se stesso e si fossilizzi.

  • Scelte aperte

Lascia che in te coesistano sempre due stati opposti.

Se non ti imponi una scelta a tutti costi, scoprirai che possono accaderti cose non previste, presentarsi possi¬bilità che non conoscevi.

  • Rinasci ogni giorno

Ogni mattina, quando ti svegli, prova a pensare che sei rinato bambino.

Come capita spesso alle donne che, dopo aver tentato inutilmente per anni di avere un figlio, rimangono incinte quando smettono di pensarci…

  • Risolvere un problema a tutti i costi

Quando ti accor¬gi che stai forzando fermati. La soluzione del proble¬ma potrebbe stare dietro un’altra porta.

  • Giudicare

Non dire questo è giusto, questo è sbaglia¬to… Limitati a guardare la realtà come se fosse un film a cui assistiti. Accogli il dolore ma non giudicarti.

  • Rimuginare sul passato

Rimuginare continuamente su rimpianti e rancori intasa il cervello e ci priva della possibilità di desiderare qualcosa di nuovo, di vivere il presente e di essere felici. Se ci fissiamo al passato e alla nostra storia non riusciamo ad andare oltre. Ma il passato non esiste più, la storia appartiene a un tempo su cui non abbiamo più alcun potere.

(Tratto da il Dizionario della felicità – RIZA – Raffaele Morelli)

Il Passato

Con il termine “passato” ci si riferisce a ciò che è trascorso nel tempo, anteriore al tempo attuale. Ma anche a ciò che ha superato un certo limite, che è andato a male o che ha superato la fase della maturità.

Le pesanti eredità del passato

La maggior parte dei nostri disagi è originata da un’insana relazione con il passato. Per la maggior parte di noi, infatti, il passato è inteso come la sostanza dell’ essere, come se ogni uomo fosse soprattutto il risultato della sua esperienza. Questa premessa conferisce al passato un potere supremo: esso infatti condiziona il presente dando origine a situazioni ed emozioni che ci allontanano dalla felicità. Vediamole qui di seguito elencate.

–         Il confronto con ciò che siamo stati: il ricordo spesso edulcora il passato, facendoci sentire perdenti rispetto a qualità che un tempo ci riconoscevamo e ora non ritroviamo più in noi.

–         La paura di sbagliare: vivere l’esperienza di oggi alla luce di quella di ieri fa aumentare il timore di commettere gli stessi errori e ci induce a ritrovare somiglianze con il passato che distolgono dalla novità di ciò che ci sta accadendo ora.

–         Il desiderio di rivalsa o di riscatto: trattare le opportunità presenti come occasioni per pareggiare i conti con le sconfitte subite in passato, porta a vivere “per reazione”, innescando una catena di automatismi che ci vincolano a filo doppio alle vecchie sofferenze.

–         I sensi di colpa: sono tra gli effetti collaterali più negativi dell’incapacità di chiudere con il passato, capaci di inquinare con la loro presenza ingombrante il benessere di oggi. – Il rimpianto: la sensazione di aver perduto occasioni importanti ci fa dimenticare che, in quel momento, non avevamo la consapevolezza necessaria per coglierne il valore, e ci porta a svalutare il presente.

–         La nostalgia: la distanza ci fa enfatizzare ciò che non c’è più e ci fa dimenticare che persino le nostre “radici” sono un’abitudine mentale; per ritrovarle non è necessario ricreare l’atmosfera del “come eravamo”, ma ci basta farle rivivere dentro di noi adesso.

–         I bilanci: altra cattiva tentazione cui il passato ci induce, nel tentativo di fare chiarezza nel “dare” e “avere” della nostra esistenza. Sperimentiamo, nell’effetto depressivo che creano, che la contabilità si addice non alla vita, ma alle cose morte.

–         I propositi: sono i figli naturali dei bilanci e sono mortiferi e inutili, i primi quanto i secondi. Sappiamo già, mentre ce li ripetiamo, che non riusciremo a esaudirli e questo ci carica di senso di inadeguatezza e di sconfitta.

–         I tentativi di recupero: le diserzioni da ruoli, responsabilità, anche svaghi che non abbiamo adempiuto fino in fondo in passato, ci spingono oggi a riempire quei vuoti con azioni compensative. Ma il tempo del recupero non esiste, e ogni esperienza vissuta fuori-tempo non è mai foriera di benessere.

–         Il rimorso: è lo strascico più bruciante del senso di colpa, che rimorde dentro eternizzando il dolore di chi non riesce o non vuole perdonarsi.

II passato è… la mente

Lasciarsi invadere dal passato, non solo da quello che è suc­cesso davvero, ma da tutti i modi in cui vorremmo correg­gerlo, è l’atteggiamento che ci predispone al malessere, alla depressione, alla rassegnazione.

Perché il pedaggio altissimo che il passato ci chiede è di vi­vere in un tempo che, di fatto, non esiste più, se non nelle proiezioni della nostra mente che ci tiranneggia distraen­doci dal presente, l’unico tempo reale.

Il passato, felice o infelice che sia, è infatti sempre fonte di malessere: se felice ci manca; se infelice, ci frustra. Questo accade perché, mentre il presente è il luogo delle emozioni, che si bruciano e si rinnovano istante per istante, senza intaccare il nucleo profondo, il passato è il regno dei pensieri, che invece si incrostano, si cristallizzano, si invi­schiano al nostro essere, fino a farci credere di esserne la so­stanza integrante.

In tal senso il passato è la mente. Più siamo legati al passato, più siamo schiavizzati dai circoli viziosi della mente.

La felicità è liberarsi dal passato

La nostra memoria è oppressa dal senso del passato. L’at­taccamento ai ricordi, a un oggetto, a una foto, a un’espe­rienza, testimonia l’aggrapparsi a ciò che è stato per evita­re di guardare da vicino la solitudine o il vuoto di senso di un’esistenza in cui non ci riconosciamo.

Frasi come: «Ascolta la voce dell’esperienza» o «Fidati di chi è più vecchio di te», poggiano sul presupposto erro­neo che la consapevolezza sia la facoltà che si accumula semplicemente vivendo giorno dopo giorno, e non, come invece accade, grazie a una particolare illuminazione o stando all’erta, in uno stato di vigilanza ininterrotta su ciò che è. Vivere il presente significa veder scomparire il tempo inteso come ostacolo: non appena si toglie di

mezzo, non ci sentiamo più schiacciati dall’onere del pas­sato e dai suoi conti sospesi.

Quello che è decisivo è la nostra presenza nelle cose: il passato che incombe è in tal senso il segnale più evidente della nostra assenza. Solo quando siamo totalmente con­segnati all’istante comprendiamo che il mondo si sta creando adesso, e noi con lui.

(tratto da “Dizionario della felicità” – Riza – Raffaele Morelli)