Secret Day Milano

Secret Day Milano

Secret Day Milano

Dopo il successo di Rimini (maggio 2008), 600 persone hanno partecipato al “Secret Day”, si ripete l’imperdibile evento formativo sull’applicazione pratica e quotidiana degli insegnamenti trasmessi nel bestseller di Rhonda Byrne con alcuni tra i migliori esperti motivazionali al mondo.

Quando: 1 Novembre 2008
Dove: Milano – Hotel Michelangelo Via Scarlatti, 33
Relatori: Gianni Golfera, Maria Rita Parsi, Marco Columbro, Owen Fitzpatrick, Alessio Roberti, Claudio Belotti

Due date:

Milano 1 novembre 2008

Roma 6 dicembre 2008

Programma…continua alla pagina Appuntamenti

The Secret

www.macrolibrarsi.it

TU SEI IL SEGRETO – a tu per tu con l’essenza

TU SEI IL SEGRETO – a tu per tu con l’essenzaTre giorni dedicati totalmente all’indagine profonda di te, per conoscere e sperimentare la tua piena potenzialità, il tuo vero potere
inizio: giovedì 30 ottobre ore 21,00 – termine: domenica 2 novembre ore 17,00
Centro Culturale Internazionale “Casa Guarinoni”, Località Pezzeto, Fortunago (PV) – Uno dei borghi più belli d’Italia

Kapil Nino Pileri

Sei un essere spirituale. Sei energia, e l’energia non può essere creata o distrutta – cambia semplicemente forma. Per questo la tua pura essenza c’è sempre stata e sempre sarà (the secret pag.175)
Si dice inoltre in The Secret: “ottenere quello che vuoi comporta un lavoro interiore

Questi tre giorni sono dedicati totalmente “anima e corpo” al lavoro interiore, alla meditazione attraverso l’indagine veicolata dalla domanda esistenziale chi sono io?
Si tratta di un’indagine non stop e ogni dettaglio della struttura è concepito per supportare questa indagine, per creare il terreno affinché la consapevolezza di chi siamo veramente fiorisca fresca e nuova, come acqua di sorgente. E quell’indagine sarai tu a farla, in prima persona. Si tratta di una sperimentazione scientifica, tu e il tuo laboratorio, il corpo.

Di fatto quando abbiamo un desiderio sappiamo chi è che desidera? E cosa vuol dire un desiderio allineato con l’universo, con la Mente Universale? O se fosse invece una compensazione? E se è una compensazione, può funzionare? E a chi ci dice che c’è una mente universale, dobbiamo credergli? Non sarebbe opportuno iniziare prima ad osservare la “nostra” mente e magari accertarsi che è davvero nostra?

Impari le domande dagli altri, e dagli altri impari anche le risposte, e tu rimani “finto” (Osho)

TU sei il segreto, lo scrigno e la chiave per aprirlo

continua ala pagina Appuntamenti


Evolvi il tuo cervello: Seminario formativo condotto dal Dr Joe Dispenza



Evolvi il tuo cervello: Seminario formativo condotto dal Dr Joe Dispen

Come funziona la mente umana? Come archivia le informazioni e perché continua ad adottare gli stessi comportamenti?
Dopo decenni dedicati allo studio del nostro cervello e dopo approfondite ricerche nei campi della neurologia, neurofisiologia e delle funzioni cerebrali, Joe Dispenza offre per la prima volta al pubblico italiano le scoperte scientifiche più all’avanguardia sulla possibilità di ri-addestrare il cervello al fine di ottenere i migliori risultati dalla vostra vita.

Prendete parte alla potente esperienza offerta da questo seminario e venite a scoprire il potenziale di grandezza che è in ognuno di voi.

Mondo quantistico, guarigione spontanea, biologia del cambiamento, potere del pensiero sulla materia, interconnessione tra cervello, mente, corpo e coscienza: due giorni per uscire dal vecchio programma e dare il via alla vera evoluzione.

LEGGI LA BIOGRAFIA DI JOE DISPENZA >>CLICCA QUI!

«Quando tengo una conferenza su tutti gli ingredienti necessari perché una persona capovolga la propria condizione, mi sento davvero fortunato di poter contribuire alla comprensione del cervello e del potere che i nostri pensieri hanno di plasmare la nostra vita da parte di un profano». Dr. Joe Dispensa

Il programma del seminario

Una MENTE ESTESA

di Rupert Sheldrake

Dov’è localizzata la nostra mente? Ci hanno insegnato a credere che sia dentro la nostra testa, che l’attività mentale non sia altro che attività cerebrale. Alcune prove sperimentali descritte in quest’articolo suggeriscono che la nostra mente si estenda ben oltre il cervello; estendendosi attraverso dei campi che ci collegano al nostro ambiente e gli uni agli altri. Se la nostra mente si protrae oltre il nostro cervello, proprio come sembra fare, e si connette con altre menti, proprio come sembra fare, allora fenomeni come la telepatia e la sensazione di essere osservati sembrano normali e non paranormali come si continua a definirli

I campi mentali sono radicati nel cervello, proprio come i campi magnetici che circondano un magnete sono radicati nel magnete stesso, o come i campi di trasmissione attorno ai telefoni cellulari sono radicati nel telefono e nella sua attività elettrica interna. I campi mentali inoltre si estendono attorno al cervello allo stesso modo in cui i campi magnetici si estendono attorno ai magneti, ed i campi elettromagnetici attorno ai telefoni cellulari.

I campi mentali ci aiutano a spiegare la telepatia, la sensazione di essere osservati ed altre capacità molto diffuse ma tuttora prive di spegazione. Soprattutto, i campi mentali sono alla base della normale percezione quale parte essenziale della vista.

Immagini Fuori della nostra Testa

Guardatevi attorno. Le immagini che vedete sono dentro al vostro cervello? O sono al di fuori di voi – proprio dove sembrano essere?

Secondo la teoria convenzionale, c’è un processo a senso unico: la luce entra, ma niente è proiettato all’esterno. Il movimento verso l’interno della luce è abbastanza familiare. Se guardate questa pagina, la luce riflessa si muove dalla pagina attraverso il campo elettromagnetico dentro ai vostri occhi. Le lenti dei vostri occhi focalizzano la luce per formare immagini capovolte sulla retina. Questa luce che cade sui bastoncelli e sui coni della retina provoca dei cambiamenti elettrici al loro interno, che danno luogo a cambiamenti caratteristici nei nervi della retina stessa. Gli impulsi nervosi si muovono lungo i nervi ottici fino al cervello, dove provocano forme complesse di attività elettrica e chimica. Fin qui, tutto bene. Tutti questi processi possono essere, e sono stati, studiati in dettaglio da neurofisiologi ed altri esperti della vista e dell’attività cerebrale.

Poi succede qualcosa di molto misterioso. Si fa esperienza consapevole di quello che si sta guardando, la pagina che vi sta di fronte. Si diventa consapevoli anche delle parole stampate e del loro significato. Dal punto di vista della teoria standard, non c’è alcun motivo per cui si dovrebbe esserne consapevoli. I meccanismi cerebrali dovrebbero procedere bene lo stesso senza la consapevolezza.

Ne consegue un altro problema. Quando vedete questa pagina, non sperimentate la vostra immagine di essa come fosse dentro al cervello, dove dovrebbe essere. Sperimentate invece la sua immagine a circa sessanta centimetri di fronte a voi. L’immagine è fuori dal vostro corpo.

La teoria standard, nonostante tutta la sua fisiologica sofisticazione, non ha alcuna spiegazione per la vostra esperienza più immediata e diretta. Tutta la vostra esperienza dovrebbe essere dentro al cervello, una specie di reality show virtuale dentro la vostra testa. Questo significa che il vostro cranio deve trovarsi al di là di qualsiasi cosa che state vedendo: se state guardando il cielo, il vostro cranio deve essere oltre il cielo! Per quanto appaia un’idea assurda, sembra essere un’implicazione necessaria della teoria mente-nel-cervello.

L’idea che propongo è così semplice che è difficile da cogliere. La vostra immagine di questa pagina è esattamente dove sembra essere, di fronte ai vostri occhi, non dietro. Non è dentro al vostro cervello, ma fuori.

Così la visione implica sia un movimento della luce verso l’interno, sia una proiezione all’esterno di immagini. Attraverso i campi mentali la nostra mente si protende per toccare quello che stiamo guardando. Se guardiamo una montagna a dieci miglia di distanza, la nostra mente si protende per dieci miglia. Se guardiamo le stelle lontane, le nostre menti si protendono nei cieli, letteralmente per distanze astronomiche.

La Sensazione di Essere Osservati

A volte quando guardo qualcuno da dietro, lui o lei si volta e guarda dritto verso di me. E talvolta mi volto all’improvviso per scoprire che qualcuno mi sta fissando. Le statistiche dimostrano che oltre il 90% delle persone hanno avuto esperienze come queste. La sensazione di essere osservati non dovrebbe avvenire se l’attenzione è tutta dentro la testa. Ma se si protende all’infuori e ci collega a quello che stiamo guardando, allora il nostro guardare potrebbe avere un effetto su quello che guardiamo. È solamente un’illusione, o esiste veramente la sensazione di essere osservati?

Questa questione può essere esplorata con esperimenti semplici e poco costosi. Si lavora a coppie. Una persona, il soggetto, si siede voltando la schiena all’altro, indossando una benda. L’altra persona, l’osservatore, si siede dietro al soggetto, e in una serie casuale di esperimenti guarda o il collo del soggetto, o distoglie lo sguardo e pensa a qualcos’altro. L’inizio di ciascun esperimento è segnalato da un clic o da un bip meccanico. Ogni esperimento dura circa dieci secondi ed il soggetto indovina dicendo “guarda” o “non guarda”.

Finora sono stati fatti più di 100.000 esperimenti, ed i risultati sono notevolmente positivi ed altamente significativi statisticamente, con probabilità che sia casuale di quadrilioni a uno. La sensazione di essere osservati funziona anche quando si guarda la gente attraverso una TV a circuito chiuso. Anche gli animali sono sensibili all’essere osservati dalle persone, e le persone dagli animali. Questa sensibilità agli sguardi sembra molto diffusa nel regno animale e potrebbe essersi evoluta nel contesto delle relazioni predatore-preda: un animale che si fosse accorto quando un predatore nascosto lo stesse osservando avrebbe avuto una probabilità migliore di sopravvivere di un animale senza questo senso.

Telepatia

Le persone istruite sono state educate a credere che la telepatia non esista. Alla stregua di altri cosiddetti fenomeni psichici, la telepatia è respinta come un’ illusione. La maggior parte delle persone che aderiscono a queste opinioni, cosa che facevo anch’io, non lo fanno sulle basi di un attento esame delle prove. Lo fanno perché c’è un tabù sul considerare seriamente la telepatia. Questo tabù è correlato al paradigma prevalente o modello della realtà nella scienza istituzionale, cioè alla teoria della mente-dentro-il-cervello, secondo la quale la telepatia ed altri fenomeni psichici, che sembrano implicare misteriose specie di ‘azioni a distanza’, non possono assolutamente esistere.

Questo tabù risale come minimo all’Illuminismo, alla fine del diciottesimo secolo. Ma questo non è luogo per esaminarne la sua storia (che esamino in The Sense of Being Stared at (>>>La mente estesa)). Piuttosto voglio riassumere alcuni esperimenti, che suggeriscono che la telepatia non solo esiste, ma che è una parte usuale della comunicazione animale.

Animali Domestici Psichici

Mi sono inizialmente interessato al soggetto della telepatia circa quindici anni fa, e cominciai a cercarne delle prove negli animali che conosciamo meglio, cioè gli animali domestici. Presto iniziai a trovare numerose storie di proprietari di cani, gatti, pappagalli, cavalli ed altri animali che insinuavano che questi animali sembravano capaci di leggere la loro mente e le loro intenzioni.

Attraverso annunci al pubblico mi sono costruito un’ampia banca dati di questo tipo di storie, al momento contenente oltre 3.500 casi. Queste storie si suddividono in varie categorie. Ad esempio, molti proprietari di gatti affermano che il loro animale sembra intuire quando hanno intenzione di portarlo dal veterinario, ancora prima che abbiano tirato fuori la gabbietta o manifestato qualsiasi apparente indizio della loro intenzione. Alcuni sostengono che i loro cani sanno quando li porteranno a fare una passeggiata, anche quando sono in un’altra stanza, senza essere visti o sentiti, e quando la persona sta solamente pensando di portarli a fare una passeggiata. Certamente, nessuno pensa che questo comportamento sia sorprendente se succede in un orario di routine, o se i cani vedono la persona che si prepara ad uscire, o sentono la parola “andiamo”. Deducono che sia telepatico perché sembra succedere in assenza di tali indizi.

Una delle affermazioni più comuni e più testabili sui cani e sui gatti è che sanno quando i loro proprietari stanno tornando a casa, in alcuni casi anticipando il loro ritorno di dieci minuti o più. Nelle statistiche di famiglie scelte a caso in Gran Bretagna e in America, i miei colleghi ed io abbiamo trovato che circa il 50% di proprietari di cani ed il 30% di proprietari di gatti credono che i loro animali anticipino l’arrivo di un membro della famiglia. Attraverso centinaia di esperimenti videoregistrati, i miei colleghi ed io abbiamo dimostrato che i cani reagiscono alle intenzioni dei loro proprietari di tornare a casa anche se sono distanti parecchie miglia, anche quando ritornano ad orari casuali, ed anche quando viaggiano con veicoli insoliti come i taxi. La telepatia sembra la sola ipotesi che possa rendere conto dei fatti.

Telepatia Telefonica

Nel corso della mia ricerca sui poteri senza spegazioni degli animali, ho sentito di molti cani e gatti che sembravano anticipare le chiamate telefoniche da parte dei loro padroni. Ad esempio, quando il telefono squilla nella famiglia di un noto professore dell’Università di California a Berkeley, sua moglie sa quando suo marito è dall’altra parte del telefono perché Whiskins, il loro gatto argentato, corre al telefono e raspa il ricevitore con le zampe. «Molte volte riesce a staccare la cornetta ed emette miagolii di apprezzamento che sono chiaramente udibili da mio marito all’altro capo – afferma – Se qualcun altro telefona, Whiskins non ci fa caso». Il gatto risponde anche quando telefona da viaggi sul campo in Africa o Sud America.

Questo mi ha portato a riflettere che io stesso ho avuto tale esperienza, in quanto, senza alcun apparente motivo, avevo pensato a delle persone che poco dopo hanno chiamato. Ho chiesto alla mia famiglia e agli amici se avevano mai avuto questo tipo di esperienza, e presto ho scoperto che la maggior parte la conosceva molto bene. Alcuni dissero che sapevano quando la loro madre o il fidanzato o un’altra persona significativa stava chiamando perché il telefono aveva un suono diverso!

I miei colleghi ed io abbiamo scoperto, attraverso sondaggi approfonditi, che la maggior parte della gente ha apparentemente avuto esperienze telepatiche con le telefonate. Questo è in realtà il tipo più comune di telepatia apparente nel mondo moderno.

È tutta una questione di coincidenza, e memoria selettiva, dove la gente si ricorda solo quando qualcuno a cui stavano pensando ha telefonato, e dimentica tutte le volte che si sono sbagliati? La maggior parte degli scettici presume che questo sia il caso, ma fino a poco tempo fa non c’era mai stata alcuna ricerca scientifica sull’argomento.

Ho messo a punto un semplice esperimento per testare la telepatia telefonica. I partecipanti ricevono una chiamata da quattro diverse persone ad un’ora prestabilita, ed essi stessi scelgono le persone che chiamano, di solito amici intimi o membri della famiglia. Per ciascun test, la persona che chiama è scelta a caso dallo sperimentatore gettando un dado. Il partecipante deve dire chi è che chiama prima che la persona parli. Se la gente stesse solamente indovinando, dovrebbero essere esatti una volta su quattro, o il 25% delle volte.

Abbiamo sinora eseguito più di 800 prove di questo tipo, e la percentuale media di successo è del 42%, molto significativamente al disopra del livello casuale del 25% con astronomiche probabilità contro la casualità (10 a 1).

Abbiamo anche effettuato una serie di prove in cui due dei quattro chiamanti erano familiari, mentre gli altri due erano estranei, i cui nomi erano noti ai partecipanti, ma che non avevano mai incontrato. Con i chiamanti familiari, la percentuale di successo fu del 56%, altamente significativa statisticamente. Con gli estranei fu al livello della casualità, in accordo con l’osservazione che la telepatia tipicamente si manifesta tra gente che condivide legami emotivi o sociali.

Inoltre, abbiamo trovato che questi effetti non diminuiscono con la distanza. Alcuni dei nostri partecipanti erano dall’Australia o dalla Nuova Zelanda, ed essi potevano ugualmente identificare chi stava chiamando sia che fosse dall’altro capo del mondo o solo ad alcune miglia di distanza.

Menti Estese

Gli studi di laboratorio di parapsicologi hanno già dato prove statisticamente significative per la telepatia. Ma la maggior parte delle ricerche di laboratorio ha prodotto effetti piuttosto deboli, probabilmente perché la maggior parte dei partecipanti e “trasmittenti” erano estranei gli uni agli altri, e la telepatia normalmente dipende dai legami sociali.

I risultati degli esperimenti sulla telepatia telefonica danno effetti più marcati e più ripetibili perché coinvolgono persone che si conoscono bene. Ho anche scoperto che ci sono sorprendenti legami telepatici tra le madri che allattano ed i loro bambini. Ugualmente, le reazioni telepatiche degli animali domestici ai loro proprietari dipendono da forti legami sociali.

Voglio dire che questi legami sono aspetti dei campi che collegano assieme membri di gruppi sociali (che definisco campi morfici) e che agiscono da canali per il trasferimento di informazioni tra membri separati del gruppo. Telepatia letteralmente significa “sentire da lontano”, e tipicamente implica la comunicazione di bisogni, intenzioni e pericolo. A volte le reazioni telepatiche sono sperimentate come sensazioni, talvolta come visioni o il sentire delle voci, e talvolta nei sogni. Molte persone ed animali domestici hanno reagito quando coloro ai quali erano legati hanno avuto un incidente, o stavano morendo, anche se questo succede a molte miglia di distanza.

C’è un’analogia di questo processo nella fisica quantistica: se due particelle sono state parte dello stesso sistema quantistico e sono separate nello spazio, queste mantengono una misteriosa connessione. Quando Einstein si rese conto per la prima volta di questa implicazione della teoria quantistica, pensò che quest’ultima fosse sbagliata perché implicava quello che chiamava una “sconcertante azione a distanza”.

Gli esperimenti hanno dimostrato che la teoria quantistica ha ragione e che Einstein ha torto. Un cambiamento in una parte separata di un sistema può avere un effetto sull’altro istantaneamente. Questo fenomeno è conosciuto come non-località o non-separabilità quantistica.

La telepatia, come la sensazione di essere osservati, è paranormale solo se definiamo come “normale” la teoria che la mente è ristretta al cervello. Ma se la nostra mente si protrae oltre il nostro cervello, proprio come sembra fare, e si connette con altre menti, proprio come sembra fare, allora fenomeni come la telepatia e la sensazione di essere osservati sembrano normali. Non sono affatto sconcertanti e strani, ai margini della psicologia umana anormale, ma sono parte della nostra natura biologica.

Certo, non sto dicendo che il cervello sia irrilevante per la nostra comprensione della mente. È molto rilevante, e recenti progressi nella ricerca sul cervello hanno molto da dirci. La nostra mente è centrata nel corpo, e nel nostro cervello in particolare. Però, non è limitata al nostro cervello, ma si estende ben oltre. Questa estensione avviene attraverso i campi della mente, o campi mentali, che esistono sia all’interno che oltre il cervello stesso.

L’idea della mente estesa dà più senso alla nostra esperienza rispetto alla teoria della mente-nel-cervello. Soprattutto, ci libera. Non siamo più imprigionati entro il limitato raggio del nostro cranio, le nostre menti separate ed isolate le une dalle altre. Non siamo più alienati dai nostri corpi, dal nostro ambiente e dalle altre persone. Siamo interconnessi.

Per gli ultimi esperimenti su quello che fu definito in modo critico da Einstein “uno troppo sconcertante fenomeno a distanza” (per essere vero – aggiungo io) >>>ecco il link. Si comincia ad ammettere ufficialmente che questo potrebbe essere uno dei rari casi (finché non scopriremo gli altri… ) in cui Einstein ha avuto torto. E il fenomeno dell’entanglement trova ulteriore conferma

Rupert Sheldrake è un biologo di fama mondiale e autore di molte pubblicazioni. Tra le sue ricerche fondamentali si pone quella su i campi morfici o morfogenetici. Membro dell’Istituto di Scienze Noetiche, vicino a San Francisco, vive a Londra. Il suo sito web è http://www.sheldrake.org (l’articolo sopra è stato pubblicato su gentile concessione di Rupert Shaldrake). Su questo stesso sito si trovano istruzioni dettagliate su i vari esperimenti “dell’essere osservati”.

Approfondimenti

Rupert Shaldrake – I poteri straordinari degli animali. Mondadori, Milano, 2000.
– Dean Radin – The Conscious Universe (N.d.T.: L’Universo Cosciente), Harper, San Francisco, 1997) (vedi bookshop se esiste versione italiana) Altre pubblicazioni dell’autore in lingua italiana
La rinascita della natura . Corbaccio, Milano, 1993
Sette esperimenti per cambiare il mondo, Corbaccio, Milano, 1995.
L’ipotesi della causalità formativa. Red, Como, 1998

fonte: Scienza & Conoscenza

da Andrea

Seminario di Medicina Tradizionale Cinese Classica

Seminario di Medicina Tradizionale Cinese Classica

Gli aspetti emotivi nella medicina tradizionale classica – aperto a tutti

Quando: a Giugno e Ottobre tutti gli anni –

11 Ottobre 2008

Dove: Lerici – La Spezia

IL DOCENTE:

Dr. Maurizio Corradin

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Gruppi Emergenti

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tua
y u m i k o

Yumiko è il sogno che nasce nel Febbraio del 2001, a Padova
in Veneto. Prende forma ed ispirazione da varie esperienze
precedenti e si definisce sin dai primi momenti come il
fortunato prodotto di percorsi ed elaborazioni musicali
differenti, confluite nel progetto in momenti successivi.
Yumiko succede eppure convive con Fujiko, alter ego ed
estensione temporale dell’anima sintetica odierna.
Le sonorità elettroniche avvolgenti, eppure allo stesso tempo
assolutamente fresche, sono gli elementi caratterizzanti dal
progetto sin dall’origine.
La musica di Yumiko ha già contagiato, spesso entusiasmato
molti, ed anche grazie a ciò ha goduto del sostegno di
professionisti affermati che hanno creduto e contribuito al
progetto: tra questi Roberto Vernetti e Mauro Andreolli per la
produzione artistica, ma anche Dj Ninfa che ha remixato il
singolo, o Daniele Zennaro (DanxZen) e Roberto Cinardi
(Saku).che ne hanno realizzato il video.
“Lividi”, il primo lavoro del gruppo pubblicato da EMI a
Febbraio 2008, è chiaramente venato delle influenze di
Depeche Mode, Nine Inch Nails e Massive Attack, dei quali
Yumiko vuole cogliere l’eredità spirituale, pur se reinterpretata
in chiave originale e fruibile nonostante il complesso lavoro che
se ne percepisce alle spalle.
Etichetta: Blackcoffee Records
Edizioni: EMI Publishing
Distribuzione: Self
Promozione: Lunatik
http://www.yumikomusic.com
www.myspace.com/yumikomusic

Gli Scherzi della Mente: La vita è così…

Gli Scherzi della Mente:

La vita è così…

del venerabile Ajahn Sumedho

Ass. Santacittarama, 2008.

Traduzione di Federico Petrangeli


Testo adattato di un discorso pronunciato il 18 aprile 1999 presso lo Spirit Rock Meditation Centre (USA).

Prima di diventare monaco facevo l’insegnante di inglese a Bangkok. Era il 1966 e in Thailandia c’erano molte basi militari dell’aviazione americana. Uno degli insegnanti della scuola di lingue era un aviatore americano. Una volta, quando tornò dopo un’assenza di circa una settimana, gli chiesi dove fosse stato. Mi rispose: “Sono stato in un posto del nord-est della Thailandia dove la gente è così povera che mangia gli insetti”. Pensai: “Io non ci andrò mai”. Mi vedevo piuttosto come un monaco seduto in samadhi sulla spiaggia, sotto una palma, oppure in una caverna tra montagne incantevoli, impegnato nella realizzazione della verità. Ovviamente sono finito a fare il monaco nel nordest della Thailandia per dieci anni, ed è vero, laggiù mangiano insetti.

Il primo anno in monastero lo passai da solo, in una piccolo capanna. Non scambiavo praticamente parola con nessuno, meditavo soltanto. Riuscivo a seguire piuttosto bene i miei programmi. Essendo americano, alto e corpulento, mi bastava gonfiare il petto e assumere un’espressione fiera per ottenere tutto quello che volevo. Durante quell’anno arrivai a rendermi conto che ero diventato molto arrogante, con quel tipo di carattere che ha bisogno di avere dei limiti. Ero sempre stato una persona molto indipendente; ora avevo bisogno di imparare a obbedire e a far parte di una comunità. Avevo bisogno di un insegnante che non si rassegnasse al mio carattere.

Per caso un monaco del monastero di Ajahn Chah, l’unico che sapeva l’inglese, visitò il monastero dove vivevo. E finì che mi portò con sé, a conoscere Ajahn Chah. L’idea di vivere nella tradizione tailandese della Foresta mi ispirava molto, così decisi di rimanere. All’inizio ero affascinato dalla vita nel monastero e mi sentivo molto ispirato, ma ben presto iniziarono le difficoltà. La luna di miele finì, e la vecchia mente giudicante riprese il sopravvento. Prese a fare molto caldo, iniziò la stagione del monsone, e tutto diventò fradicio e maleodorante. Così cominciai ad odiare quel posto. Ricordo che sedevo pensando: “Perché sono qui?”.

Ajahn Chah amava testare la resistenza della nostra pazienza fino al punto in cui non pensavamo che ce l’avremmo fatta a resistere un altro minuto. Per me era diventato una specie di koan. Sentivo la mia voce ripetere: “Non ce la faccio più… Ne ho abbastanza. Questa è la FINE!”.

Poi ho scoperto che potevo resistere ancora. Cominciai a non fidarmi più di questo lamento isterico interiore, che dentro di me diceva continuamente: “Sono stufo, non ce la faccio più“. Da questo punto di vista lo stato monastico e le condizioni di vita che impone mi furono di grande aiuto.

Ma c’erano anche un sacco di abitudini che resistevano alla vita monastica. Essendo americano, cresciuto con un ideale di vita di libertà e di uguaglianza, mi sentivo incredibilmente frustrato, soffocato da quel sistema. Vivevo in una struttura gerarchica fondata sull’anzianità. Ed essendo il monaco più giovane, dovevo svolgere una serie di compiti per i monaci più anziani. Imparare ad accettare questi doveri e a prendere interesse al loro svolgimento fu per me una grossa sfida. C’era la parte egoista di me che avrebbe voluto vivere la vita monastica nei suoi propri termini. Avrei voluto decidere di svolgere determinati compiti solo se lo avessi ritenuto utile per me; ma nella maggior parte dei casi non era così. Sentivo dentro di me una specie di resistenza e un sentimento di ribellione.

Nello stesso tempo, c’era una continuo incoraggiamento a prendere reale coscienza di quello che stavo provando: la resistenza, la ribellione, l’atteggiamento di critica. Erano emozioni che emergevano e che potevano essere osservate durante la meditazione. Divenni consapevole della mia ostinazione, di un’immaturità che mi faceva brontolare e lamentarmi se le cose non andavano come volevo. L’enfasi era sul coltivare la consapevolezza di quello che stavo provando, così fu un periodo piuttosto interessante. Non ero certo spinto al conformismo, come se fosse un campo militare. Nessuno mi costringeva a stare in quel luogo, ero stato io a scegliere di vivere lì. Il mio impegno era di adeguarmi alla disciplina, di arrendermi alla vita monastica.

Adattarmi ad una vita monastica così rigida e tradizionalista includeva imparare a mangiare cibo che non amavo particolarmente. La gente del villaggio poteva portare piatti piccanti di curry con pollo, con pesce o con rane. E magari Ajahn Chah rovesciava tutto in un catino e mischiava. Era terribile. Oppure poteva capitare che per il nostro pasto le monache raccogliessero qualcosa nel bosco, ad esempio delle foglie. Ricordo che scrivevo a mia madre: “Vado avanti mangiando foglie”. E lei mi rispondeva con lettere molto preoccupate.

All’inizio non riuscivo a mangiare. Solo vedere il cibo mi faceva star male. Per fortuna eravamo nella stagione dei manghi, e c’erano grandi vassoi di manghi. Così riuscii ad andare avanti un mese intero nutrendomi di manghi e riso glutinoso. Ma poi la stagione dei manghi finì e io ripresi a dimagrire a vista d’occhio. Alla fine cominciai ad imparare come mangiare. E’ incredibile come possiamo adattarci bene. Incominciai a pensare che se ero in grado di mangiare quel cibo, sarei stato capace di vivere dovunque. In nessun posto il cibo sarebbe potuto essere peggiore di quello.

Qualche volta capitava che noi monaci andassimo tutti in città, nel retro di un grande carro. Poi si camminava per un giro di questua con Ajahn Chah. Era davvero una bella esperienza. Stavano tutti al bordo della strada principale, la gente aveva ogni tipo di cibo e lo versava nelle nostre ciotole. Quando le ciotole erano piene, qualcuno veniva con un grande cesto, noi versavamo il cibo nel cesto e andavamo avanti. Quando tornavamo al monastero, potevamo scegliere cosa mangiare tra quello che era rimasto nelle nostre ciotole. Era un’occasione così rara che ci faceva davvero perdere la testa. Una volta una donna mise nella mia ciotola una piccola torta. Quando arrivò il momento di versare il contenuto della ciotola nel cestino più grande, cercai di trattenere la torta nella ciotola. Non volevo che l’uomo che portava il cestino si accorgesse di quello che stavo cercare di fare, e la mia mente fu invasa da ogni genere di pensiero contorto. Era incredibile vedere con quanto sforzo e con quanta ansia cercassi di trattenere la torta. Ne ero totalmente ossessionato.

Mi scoprì anche ossessionato dai dolci. Vivendo nel celibato, ogni forma di attività sessuale è vietata. Questo limita il piacere che si può provare. Possiamo solo mangiare un pasto al giorno, spesso senza niente di particolarmente buono. Però ci sono permessi, se sono offerti, lo zucchero e il miele, come tonici. Una volta Ajahn Chah mi diede un sacchetto di zucchero. Ero così felice. Pensai: “Lo assaggio solamente”. Così aprii il sacchetto, ci infilai un cucchiaino, lo riempii e lo misi in bocca. Dopo un quarto d’ora avevo finito il sacchetto. Non riuscivo a fermarmi. A volte sognavo i dolci: andavo in pasticceria, mi sedevo e ordinavo delle torte dall’aspetto squisito. Appena ero sul punto di mangiarne una mi svegliavo.

La mente fa un sacco di scherzi. Quando si vive in una condizione in cui non si possono soddisfare tutti i propri desideri e non si può fare semplicemente ciò che si vuole, possono sorgere strane sensazioni e incredibili forme di desiderio su cose che prima non erano mai state un problema. Quando ero laico i miei desideri erano estesi su un gran numero di cose; nella vita monastica si erano tutti concentrati sullo zucchero e sui dolci. Eccomi là, un monaco che aveva ricevuto la piena ordinazione, che cercava di condurre una vita spirituale, e che si comportava come un fantasma affamato, sognando zucchero e dolci. Un altro monaco americano che aveva perfino la madre che gli spediva pacchi pieni di caramelle e di dolci al cioccolato.

Essendo il desiderio così concentrato, potevo però contemplarlo facilmente. Imparare a riflettere su questi desideri, su queste ossessioni della mente, è molto importante. E’ in queste circostanze che spesso abbiamo bisogno dei precetti per evitare di seguire le nostre abitudini o quella che è solo la via più semplice, quale che sia. I precetti ci aiutano ad osservare le sensazioni che sorgono, le nostre reazioni, e i risultati del nostro comportamento. Le restrizioni e il controllo che sono imposti dai precetti ci danno il senso del limite. Con consapevolezza riflessiva, impariamo a notare quanto forti possono essere gli impulsi e le ossessioni della mente. Possiamo vederli come oggetti mentali, piuttosto che come bisogni da soddisfare. Anche se a volte la mente urla: “Non ce la faccio più!”, la verità di tutta la faccenda è che possiamo tranquillamente farcela. Gli esseri umani hanno straordinarie capacità di resistenza. Se impariamo a esercitare un controllo su noi stessi, a non essere semplicemente trascinati dall’impeto dell’impulsività, allora iniziamo a trovare forza nella pratica. Non dobbiamo necessariamente essere schiavi delle abitudini e degli istinti.

Le molte regole della vita monastica sono basate su questo controllo. Una delle regole che all’inizio mi irritava veramente era quella che riguardava le vesti. Quando diventiamo monaci, ci viene dato un abito composto da tre vesti. Nella tradizione delle Foresta c’è l’usanza di indossare tutte e tre le vesti quando si esce per il giro mattutino della questua. Di mattino faceva molto caldo, e noi dovevamo sempre camminare parecchio, attraverso risaie e villaggi. Così, al ritorno, le vesti erano zuppe di sudore. Le vesti erano colorate con una tinta naturale di albero del pane e così, dopo un po’, la miscela di sudore e tinta di albero del pane cominciava a odorare terribilmente. Sembrava una vita incentrata sulle vesti: usare le vesti, lavare le vesti, cucire le vesti. Ma io non volevo avere una vita incentrata sulle vesti: io volevo meditare.

Trovavo tutto questo incredibilmente frustrante. Ricordo che una volta dissi a un altro monaco: “Questa di mettersi tutte le vesti è un’usanza stupida. Tutto quello che ci serve è una veste leggera, che ci copra adeguatamente. E’ molto difficile fare le nostre vesti pesanti, ci vuole tanta stoffa e usandola tutti i giorni nel caldo si deteriorano facilmente. Così dobbiamo farne altre, e questo significa più stoffa, più tinta, più cucito”. Ne feci un buon motivo per non mettermi tutte e tre le vesti, essendo la persona ragionevole che sono. Ma in realtà stavo solo piagnucolando e lamentandomi.

Il monaco raccontò tutto ad Ajahn Chah, che mi fece chiamare. Ero così imbarazzato. Improvvisamente mi apparve chiaro: perché fare un problema di tutto questo? Indossa semplicemente quelle vesti! Non vale la pena di fare queste scene. Lo posso sopportare. Non manderà in rovina la mia vita. Quello che mi sta rovinando la vita è la mia mente lagnosa, che dice: “Non voglio fare questo, questo è stupido, non ne vedo il motivo!”. Questa continua recriminazione mi stava consumando dal di dentro: affliggersi, criticare, avere opinioni rigide, stufarsi, voler andar via, rifiutarsi di collaborare, lamentarsi della vita. Questa è la sofferenza che non potevo sopportare. Mi resi conto che anche per la maggior parte della mia vita prima di diventare monaco, anche nel pieno di una vita confortevole, avevo l’abitudine di lamentarmi e di vedere le cose incessantemente con occhi critici.

Queste sono le cose che possiamo contemplare. Non possiamo controllare cosa sorge nella nostra mente, ma possiamo contemplare le nostre reazioni e imparare da questo, piuttosto che essere trascinati, impotenti, dalle reazioni istintive e dalle cattive abitudini. Anche se ci sono molte cose della nostra vita che non possiamo cambiare, possiamo cambiare il nostro atteggiamento nei confronti della vita. In fin dei conti la meditazione è soprattutto questo: cambiare il nostro atteggiamento, passare da un atteggiamento auto-centrato, del tipo di “liberati di questo oppure prendi più di quest’altro!”, a un atteggiamento di accoglienza benevola della vita in quanto tale. Per accogliere l’opportunità di mangiare cibo che non ci piace, di vestire con tre vesti in una giornata caldissima. Per accogliere il disagio, l’essere stufi, la voglia di fuggire via. Questo modo di accogliere la vita esprime una comprensione profonda. La vita è così. Qualche volta è bella, qualche volta è orribile, e la maggior parte del tempo non è né l’una né l’altra cosa. La vita è così.

Letture consigliate

Relazioni di coppia

Saper comunicare per essere felici in famiglia

a cura di
Elisa Tumbiolo

La felicità familiare dipende in buona parte dalla comunicazione fra la coppia.
Se lui e lei comunicano bene le relazione saranno improntate al buon umore, ne deriveranno il benessere e l’equilibrio non solo di entrambi, ma di tutta la famiglia.
I bambini infatti cresceranno in un clima sereno, ricco di fiducia, ottimismo e rispetto reciproco. L’accordo fra i genitori permette inoltre un’adeguata educazione dei figli che, non appesantiti dai problemi e difficoltà fra il padre e la madre, hanno una maggiore disposizione all’ascolto e, nei rapporti con gli atri mantengono lo stile positivo degli adulti. Per questo è buona norma non litigare mai davanti ai figli.
Diversi sono i fattori che determinano una buona comunicazione; ci limitiamo qui di seguito a fornire alcuni suggerimenti per relazionarsi con il partner in maniera positiva.

Mantenere la delicatezza nei rapporti

Dal modo con il quale ci rivolgiamo al nostro partner dipende il buon andamento della comunicazione ma anche l’accrescimento della stima e del rispetto reciproco.
Se non utilizziamo il linguaggio opportuno è facile che la conversazione scivoli verso il conflitto e l’opposizione. Le stesse parole a seconda del tono con il quale si pronunciano possono significare cose differenti.

Pertanto ricordiamoci di:

– ringraziare e chiedere sempre le cose con un “per favore”.
Dire “potresti per favore …”, non è la stessa cosa rispetto a
”Devi farmi …”, o ancora l’espressione “Perché non mi porti mai ….” è più antipatica di “Quando mi porterai …”.
Nei rapporti sociali e di lavoro usiamo riguardo e garbo anche con gli estranei: perché non dovremo fare altrettanto con la persona che più di ogni altra merita riverenza e ogni genere di cura dato che l’abbiamo scelta per condividere la nostra vita e conseguire felicità?
Occorre poi essere sempre riconoscenti per tutto e non dare mai per scontati i servizi e le cortesie dell’altro. E’ opportuno manifestare spesso e verbalmente la nostra gratitudine con frasi del tipo: “meno male che al mattino accompagni i bambini a scuola così io posso….”, o “ che pietanza prelibata mi hai preparato oggi, lo sai bene che gli gnocchi sono il mio piatto preferito…” ecc.

– non prendere da solo un impegno che riguarda entrambi
E’ buona norma di rispetto sentire sempre il parere dell’altro prima di prendere un impegno che coinvolge anche il suo tempo o richiede la sua partecipazione, anche se sappiamo che il nostro partner è libero e non avrebbe nessun impedimento per mantenerlo.

– Non offendere mai l’altro.
L’offesa attraverso la parola che ferisce fa chiudere l’altro in se stesso e impedisce ogni desiderio di riavvicinamento. Questi può reagire replicando con un’altra offesa o troncare ogni comunicazione.
Grida, musi lunghi, insulti , rimproveri, accuse, prediche, minacce, conservare una “lista delle offese”: sono tutti atteggiamenti che impediscono la comunicazione.

– Evitare i periodi di “guerra fredda”.
Di fronte ai diverbi e alle incomprensioni è necessario evitare di chiudersi in se stessi, ciò infatti darebbe luogo a periodi di guerra fredda più o meno lunghi dai quali si esce con difficoltà e sempre con le “ossa rotte”.
Tali periodi si caratterizzano per il clima di ostilità: ognuno pensa alle sue cose e si arriva a manifestare una certa indifferenza nei confronti dell’altro se non addirittura fastidio. Non ci si sente a proprio agio, ma nessuno ne parla, ognuno crede che sia l’altro a doverlo fare e se non lo fa è perché la sua insensibilità è tale da non avvertire la presenza di qualche problema.
Occorre rifuggire dai pensieri e dall’immaginazione e trovare a tutti i costi la forza di rompere il silenzio.
Spesso interpretiamo male quello che il partner ci dice, o giudichiamo erroneamente in maniera arbitraria le sue intenzioni. Davanti a qualsiasi dissenso la prima cosa da fare è parlarne con sincerità e fiducia e adoperarsi con molta volontà per cercare di risolverlo.

Parte II
“Attendere il momento opportuno per dire le cose”


Saper aspettare non è facile eppure nel rapporto fra lui e lei spesso è un accorgimento necessario.
Noi donne, ad esempio, abbiamo la tendenza a sparare a raffica una serie di cose accadute e di lamentele sul marito non appena varca la soglia di casa. Per noi è una forma per scaricare e condividere le tensioni di tutta la giornata, ma rispettiamo poco la psicologia maschile e dimentichiamo che per lui non è la stessa cosa.
L’uomo che rientra a casa cerca conforto, accoglienza, accettazione; ha bisogno di qualche minuto di rodaggio prima di sintonizzarsi sulla nostra lunghezza d’onda. A lei basta parlare per sentirsi meglio ma lui percepisce i suoi racconti come accuse personali.
Basta salutarlo affettuosamente e attendere una decina di minuti prima di metterlo al corrente della nostra giornata e della condotta figli. Spesso, a seconda della gravità degli argomenti, è opportuno aspettare la fine della cena per non rovinare questo momento di intimità familiare, o attendere che i figli siano andati a letto se non è conveniente che stiano ad ascoltare.
Anche gli uomini dal canto loro, a volte, usano dire le cose in tempi e modi inopportuni.
Se si accorgono per esempio che è finito il ricambio della biancheria pulita, per comunicarlo usano espressioni del tipo “non ho più cosa mettermi, in questa casa nessuno stira …” ecc.
Sarebbe opportuno, prima di lanciare una simile “bomba a mano”, che essi cercassero di recuperare quello che serve nella giacenza delle cose da stirare o direttamente nello stendibiancheria. In caso di risultato negativo, è bene considerare se il corredo di ricambi a disposizione ha bisogno di essere incrementato, in modo da coprire almeno l’arco della settimana. Se nonostante simili rimedi non si riesce a risolvere l’inconveniente, ci si può rivolgere alla moglie dicendo “hai avuto un gran da fare questa settimana, io però sono rimasto a corto di calze, potresti per favore rimediarne un paio per domani?!”.
Quando poi dobbiamo correggere facciamolo con affetto pensando a come ci piacerebbe che l’altro ci riprendesse nelle nostre mancanze.

Ascoltare con attenzione

Seguiamo il racconto del nostro partner con visibile interesse e diamo valore a ciò che dice.
Tralasciamo immediatamente quello che stiamo facendo (soprattutto se si tratta di tv e giornali) e guardiamolo negli occhi.
Se l’argomento è importante e ci accorgiamo che l’altro necessità di un consiglio o di una parola di conforto, accomodiamoci accanto a lui e mostriamoci molto disponibili, anche se abbiamo mille altre cose urgenti da fare.
Prendiamo sul serio le sue opinioni, rispettiamo le sue idee e attribuiamo poca importanza alle differenze opinabili.
Teniamo in conto i suoi suggerimenti che sono tanto più preziosi in quando provengono da persona dell’altro sesso. Per esempio parlare al coniuge del lavoro professionale può risultare stimolante e utile. L’intuito femminile, infatti, spesso arriva oltre le mere statiche, ma a volte la semplicità maschile trova soluzioni facili là dove la donna si era aggrovigliata per ore.

Parigi:‘discoteca’ per bimbi dai 3 ai 7 anni.

Parigi lancia l’ultima moda, una ‘discoteca’ per bimbi dai 3 ai 7 anni.

La parola non deve trarci in inganno; quella che lo scorso 25 settembre ha aperto i battenti a Parigi non è una discoteca come la intendiamo noi in Italia, luogo che sarebbe assolutamente improponibile per dei bambini. La prima discoteca parigina riservata alla classe di età 3-7 anni, infatti, che ha come location esclusiva il Museo Palais de Tokyo, sarà qualche cosa di più. L’orario, non sarà quello ‘nottambulo’ degli adulti ma comunque andrà dalle 10 di mattina alla mezzanotte. L’ingresso sarà a pagamento (10 euro) e una volta dentro si potranno scegliere anche altre attività: atelier di danza e musica gestiti da coreografi esperti e creazioni contemporanee di alcuni designer famosi e istallazioni video. Due volte al mese ci saranno concerti e una volta al mese lezioni della ‘baby class dance’. L’idea che sta alla base è quella di creare un luogo che ‘inizi’ i bimbi a certi aspetti della creazione contemporanea come danza, musica e installazioni video. A detta degli organizzatori si intende così dare ai bimbi degli stimoli che, probabilmente, non potrebbero trovare nelle più tradizionali scuole dell’obbligo. Stimoli che partiranno dai 3 anni, l’età in cui si formano i gusti e si apprende più facilmente, con la speranza di fare poi di questi bimbi dei ragazzi veramente ‘trendy’. Voi cosa ne pensate? Se ne sentiva davvero il bisogno?

Di Moige del 26/09/2008

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